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Un viaggio intorno a Cave

La Storia: dal VI secolo a.C. - al IX secolo d.C

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Cave: Terra Cavarum

Cave! Alla larga!
Tradurrebbe subito un latinista

Territorio urbano

A quanto pare noi abbiamo finora divagato e non siamo entrati nel nocciolo della questione: noi vogliamo sapere, senza latinizzare, come sia derivato il nome Cave.

Origini di Cave

Cave col suo territorio giacciono in amenissima posizione a 390 m. sul livello del mare

Coriolano su questa terra

Il territorio in cui oggi trovasi Cave era allora sotto il governo di Preneste; la campagna era rudemente coltivata da colonie militari e urbane.

Un viaggio intorno a Cave

La Storia: VI secolo a.C. - IX secolo d.C

Camillo e Pirro

Contro siffatti mali esterni ed interni di Roma, il Senato creò Dittatore L'espugnatore di Veio Furio Camillo nel 367, il quale marcio prima contro i Volsci, li combatté, li vinse e riconciliò con Roma.

Mario e Silla

La guerra contro i popoli vicini occupavano Roma ogni anno. Le più terribili sconfitte non distrussero gli stati, e le più luminose vittorie poco accrescevano il loro territorio.

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Un viaggio intorno a Cave

La Storia: IX secolo - XV secolo

La Signoria Annibaldese

Per meglio dimostrare, al nostro paziente lettore, l’incremento del nuovo governo Annibaldese in Cave, troviamo opportuno trascrivere sommariamente alcune pergamene, le quali potranno essere gradite agli studiosi di cose locali.

I Colonna

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Lo Statuto di Cave 

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Un viaggio intorno a Cave

La Storia: XV secolo - XX secolo

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Cave: il primo nucleo

Il primo nucleo dell'antico castello di Cave ebbe origine negli anni dell'alto Medio Evo, intorno ad alcuni monasteri benedettini dipendenti dall'abbazia di Subiaco

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By John Smith posted July 20, 2016

Cave: Terra Cavarum

Cave! Alla larga! Tradurrebbe subito un latinista. Difatti simile vocabolo lo troviamo in quella famosa scritta che gli antichi romani mettevano sulla porta delle loro case: "Cave Canem!" Guarda che c’è il cane, e quindi stai guardingo, non ti fidare. E l’altra: "Cave né Cados!" Basta di non cadere! Ammonimento che lo schiavo dell’antica Roma dava al Trionfatore. E già che ci troviamo ad arzigogolare sul vocabolo (Cave), mi piace aggiungere altri fatterelli storici. La nettezza urbana, nei tempi andati, lasciava molto a desiderare, ed era regolata con ordinanze municipali trascritte su appositi marmi e murata agli angoli dei vicoli e strade poco frequentate della città, in cui il fetore delle immondizie non poteva certo giovare alla salute pubblica; e queste ordinanze si praticavano fino al secolo XVIII. Riandando quindi col pensiero ai tempi più lontani, come ad esempio, dice l’archeologo Matteo Della Corte, e cioè a Pompei, duemila anni e forse più prima, e precisamente all’imbocco di un vicolo, su la parete di una casa, vi si legge tuttora, graffiata accanto all’ingresso: "Circinaeus Crescens ih habitat". Costui era il cittadino che protestava per l’origine di certi miasmi che si effondevano nella sua casa. Forte del suo diritto, Circineo chiamò un letterista (scriptor) e gli dettò l’estratto di un’ordinanza già esposta nel Foro di Pompei. Così scrisse: "Stercorari! A murum progredere! Sì presus fucris, poema patiare necesse est! Cave!" e in altre parole Spazzino! Va a raggiungere i bastioni delle mura, com’è tuo dovere! Se ti sorprendano ne pagherai la pena! Guardati!". Quello che a noi colpisce e c’interessa, è la minacciosa apostrofe (Cave!) che italianata significa (Guardati!). Ma noi di che cosa dobbiamo guardarci, quando, entrando in questa terra, ci fa l’impressione di pensare al contrario? Non basta quanto finora si è detto; vi è ancora di più: si crede che un frate, leso nei suoi diritti, si scaglia torvamente su tutta la popolazione di Cave denigrandola così: 


"A gente Cavarum Cave 

Qui dum tibi dicum ave

Te decipiunt suave suave"


Che tradotto in volgare: Guardati dai Cavesi, i quali, mentre ti salutano, ti corbellano piano piano.

Cose che fanno ridere! Per tutti questi memorabili detti, entrando in questa terra, si debba avvertire il forestiero: bada dove vai, non ti fidare, poiché ti sarà facile cadere in un agguato, o romperti magari il collo!

Perché dunque sussiste ancora il malevolo detto di quel frate? Un tempo era in dissidio i PP. Agostiniani della locale Parrocchia di S. Stefano con i Preti della Collegiata di S. Maria.

Gli amministratori di S. Maria erano preti secolari e nativi di Cave, e quel frate di quell’ordine Agostiniano, punto dall’ira, volle inveire sarcasticamente con quelle frasi latine. Il frate, deve aver certamente preso lo spunto dal significato mitologico della Sirena che figura sullo stemma del paese e dal significato latino del vocabolo (Cave).

Forse il P. Agostiniano avrà avuto le sue ragioni, come vedremo in seguito, ma egli si sente tradito da un prete nativo di Cave, non doveva tutti i Cavesi porre a tal croce. Quindi lasciamo la questione tra i frati latini e i preti cavesi e diamo il giunto merito, come abbiamo detto, al popolo di questa terra feconda.

L’Arturo Sonetti romano ebbe ad esprimere la sua impressione con questi versi:


Cave

Tramezzo a Genazzano e Palestrina

Ce sta un paese bello ch’è ‘n’amore

Ogni donna cavese è una regina

E l’omo sembra un re, un imperatore.

C’è er sole, il verde, er vino e l’aria fina

Tesenti er core allegro e ogni dolore

Lo ammazzi fra l’amichi giù in cantina

Lì fiori poi t’infasceno d’odore.

T’invita er cielo la terra e la natura

Se vienghi poi ‘na vorta a Cave nu lo lassi

Anzi ce magni e bevi e te c’ingrassi.

Vivrai felice come una creatura

Lontano da le pene e da li guai

E qui se Dio vorrà ce morirai!

Territorio urbano

A quanto pare noi abbiamo finora divagato e non siamo entrati nel nocciolo della questione: noi vogliamo sapere, senza latinizzare, come sia derivato il nome Cave. 

Il Nibby asserisce che la terra ebbe denominazione dalle molteplici cavae o cave praticate fra le rupi affine di passare la via che va a congiungersi a quella Latina sotto Anagni, e non vi è dubbio che il suo nome derivò appunto dai numerosi cavi o grotte da dove si estrasse la pozzolana e far passare la via Provinciale che taglia per metà il paese.

Difatti ciascuno può osservare quante cave di tufo e pozzolana veggonsi nei dintorni; l’estrazione di queste materie servì in ogni tempo a far calcestruzzi per la riedificazione della vicina Preneste tante volte distrutta e per la fabbricazione della stessa cittadina Cave. In questo territorio non manca quanto occorre per fabbricare, poiché è pure vicina la pietra calcarea per formare calce, e le acque sono abbondantissime e salubri.

Il centro urbano si presenta al forestiero in forma tutta bizzarra e fa l’impressione che la caratteristica disposizione di tutte le case siano state dirette da testa bislacca, mentre il susseguire delle fabbricazioni, ha trovato il suolo e il sottosuolo vario e scosceso adatto per le fondazioni di mura e bastioni necessari alla difesa contro gli assalti degli invasori, come vedremo in appresso. Colla andare del tempo il paese si è ingrandito e le ramificazioni delle strade principali hanno dato una topografia simile alle branchie di un polipo, che abbraccia ogni punto di comunicazione interna ed esterna.

Possiamo dividere il paese in tre distinte parti: vecchio, nuovo, moderno.

Il vecchio o antico paese di Cave sorge tuttora sopra un poggio in declivio su dura pozzolana verso levante, e comprende quella parte che dal Rio sale al palazzo baronale e va sino alla cosiddetta torre, ora dirupa, avanzo del Castello medievale dei Colonna, allora feudatari; passato inseguito ai Barberini. L’accesso al Castello si aveva per mezzo di un ponte levatoio; mentre tutto il nucleo della fortezza e di case urbane erano circoscritti da un fosso o fossato che proseguiva sino alla contrada detta ancora oggi Rifolta, e si congiungeva al Rio che circoscrive la parte di ponente e mezzogiorno.

Esiste tuttora l’arco d’ingresso al Castello con i relativi grossi cardini della ferrata porta distrutta. Quest’arco dopo le devastazioni e le guerre, prese il nome d’Arco Mastricola, perché ivi furono appoggiate alle antiche costruzioni, altre nuove fabbriche della nobile famiglia omonima, ed ora degli eredi di Filippo Cecconi. E verso il secolo X, questo nucleo di case s’ingrandì, contornando il Castello dalla parte di tramontana, sino alla contrada Rifolta.

Il nuovo paese comprende le contrade, Borgo, Corso, Cona, S. Carlo. I gruppi di queste case sorsero dopo terminate le guerre di Campagna e le scissure tra i Colonna feudatari e la Santa Sede, cioè vivente Urbano VIII Barberini, fu abolita la qualifica di feudo, rimanendo solo il titolo di principe.

Nei tempi odierni, con la buon’iniziativa di privati cittadini, il paese è stato sempre più ingrandito, sviluppato ed abbellito di strade, di villini, di case e questo è detto moderno.

Il Comune ha due Parrocchie: S. Stefano, tenuta dai PP. Agostiniani; S. Maria tenuta dai Preti regolari.

Inoltre vi sono altre chiese, come: S. Carlo, S. Lorenzo, S. Maria in Plateis, S. Pietro, S. Anatolia e Madonna del Campo, delle quali parleranno di tutte più dettagliatamente appresso.

Origini di Cave

Cave col suo territorio giacciono in amenissima posizione a 390 m. sul livello del mare, ed ha pittoreschi dintorni, ombreggiata da annosi castagneti, oliveti, e noceti. Si ammirano, nel suo territorio, avanzi di mura ciclopiche, memorie di varie antichità.

Nel 1870 la sua popolazione contava 2500 abitanti ed ora è ascesa a 5000 circa fornendo così prova di consapevolezza demografica. Il paese fu costruito, dice il Moroni, verso l’anno 998 di G.C.; ma secondo la tradizione, la datazione scritta in basso all’affresco nella chiesa della Madonna del Campo: Maria.Joseph.an 615 che si legge, vuole fosse ancora leggibile fin verso la metà del secolo XVIII, fa supporre che il Moroni cada nell’errore, poiché se nell’anno 615 dell’era nostra, vi era questo santuario, è chiaro e non vi è dubbio che nel territorio esisteva un nucleo di persone formanti la primiera colonia cristiana, che poi doveva dar sviluppo ad un comune regolarmente amministrato.

Poteva il Moroni affermare che il paese fosse costruito l’anno 998 di G.C.? Quali dunque le origini di Cave? Non si può rispondere con precisione. Bisogna andare anzitutto col pensiero all’antica Preneste, a quei tempi in cui fu fondata, e cioè a circa quindici secoli avanti l’era volgare; popolata d’aborigeni, indi da colori frigi, greci e latini. E perciò che la sua origine deve ricercarsi verso il 338 av. G.C. quando i Prenestini erano in lotta con Roma.Silvio Latino 3° re d’Alba, al dire degli storici, ridusse Preneste sotto il suo dominio e vi mandò una colonia che rimase fedele a Preneste finché questa non fu soggiogata e distrutta da Tullio Ostilio 3° re di Roma.

Dopo quell’epoca Preneste, ricuperato l’indipendenza, si governò da sé; nel 225 di Roma si collegò coi Latini per ristabilire i Tarquini. Poco prima della battaglia del Lago Regillo, Preneste si staccò dalla lega, si riaccostò ai Romani e più tardi il suo territorio, compreso anche quello di Cave, fu teatro di devastazioni e depredazioni degli Ernici e dei Volsci (A. 791 di Roma). In quei tempi non esisteva ancora il comune di Cave, ma semplicemente capanne e tuguri primitivi per dare asilo agli agricoltori; ed in seguite case, ville, bagni sparsi qua e la come lo dimostrano gli avanzi diroccati che s’incontrano nel territorio prenestino che comprendeva Cave e Genazzano.

.Afferma che Numerio Suffezio, prima della fondazione di Roma, aveva già elevato il vastissimo Tempio della Dea Fortuna.Preneste divenuta in seguita colonia romana, cessata la gelosia del Senato che ripugnava agli oracoli estranei, fu quindi consultato l’oracolo della Dea Fortuna non solo dai magistrati, ma sovente, dopo la caduta della Repubblica, favorito dagli imperatori stessi.

Gli storici affermano che l’imperatore Costanzo nel 365 di G.C. era ostile al culto antico e quindi emanò una legge apposita, alla quale ne seguirono altre di Valentiniano II e di Teodorico I promulgata nel 391.Con tali leggi posero termine alla celebrità di quest’antico delubro del Lazio, e col farlo chiudere e lasciarlo in abbandono preparandone la rovina.Si narra che circa cinque secoli prima dell’era cristiana e circa 269 anni di Roma, fu il territorio prenestino e quello della futura Cave, teatro di una battaglia campale fra Romani comandati dal Console Caio Aquilio Tusco e gli Ernici, i quali furono completamente disfatti.

Si crede pure che tale battaglia sia avvenuta in quel tratto di territorio che comprende le zone ora dette di Grotta Piana e Palme, ove ancora torna in luce tracce di sepolcri di pietra tufacea e tumuli marmorei.

Coriolano su questa terra

Il territorio in cui oggi trovasi Cave era allora sotto il governo di Preneste; la campagna era rudemente coltivata da colonie militari e urbane.

Come l'agro di Genazzano, così quello di Cave seguirono le sorti di Palestrina che continuamente si trovava in guerra coi popoli vicini: volsci, Ernici, Tiburtini e Romani.

Dionisio e Plutarco ci raccontano che Coriolano, condannato dall'incosciente plebe romana, nel corso dei suoi trionfi e conquiste, decise di marciare contro Roma alla testa dell'esercito Volsco, popolo più feroce e potente nemico di Roma.

Valmontone. Lugnano e Gallicano, città soggette ai Romani, furono dall'esule Coriolano prese d'assalto, predandone uomini, denaro, vettovaglie. I superstiti cittadini di Valmontone si dispersero nel vicino territorio di Preneste e di conseguenza su quello che dicesi di Cave.(a. di Roma 338)

nel momento in cui il suo esercito stava per attaccare Roma, la madre Vetruria e molte Matrone piegarono l'animo di Coriolano con preghiere e lacrime a desistere di venire contro Roma e non farla cadere alla dominazione Volsca.

Coriolano commosso, perdonò alla patria le offese, ma la madre Vetruria perdé il figlio. Ritirato questi, l'esercito volsco, venne dalla moltitudine barbaramente trucidato qual traditore.

Camillo e Pirro

Contro siffatti mali esterni ed interni di Roma, il Senato creò Dittatore L'espugnatore di Veio Furio Camillo nel 367, il quale marcio prima contro i Volsci, li combatté, li vinse e riconciliò con Roma.

Fra le tante fazioni guerresche che si successero, la più famosa fu quella in cui si armarono contro Roma nel 371, i Volsci, i Latini, gli Ernici, cui si aggiunsero le due colonie di Circeo e di Velletri.

La battaglia fu cruenta, i Volsci abbandonate le armi, fuggirono molti furono i prigionieri, prossime i Latini e gli Ernici volontari.

Nel 373 i Volsci tentarono nuovamente la fortuna della guerra pe rabbattere la potenza romana. Tutto fi inutile.

Il Petrini nelle "Memorie Prenestine" dice che i Prenestini, stretti in lega coi Veliterni, erano in tante numero che superarono gli abitanti della colonia velletrana. la zuffa avvenne presso Velletri; i Volsci scorgendo il pericolo di essere sopraffatti, con opportuna ritirata entrarono in città, riconoscendo anche dubbio l'esito dell'impresa. Di questa mossa si sdegnarono i tribuni romani contro i Prenestini ausiliari, incolpati quali autori e più accaniti dei Veliterni; provocarono dal Senato una dichiarazione di guerra contro gli stessi Prenestini. Questi unitesi nuovamente coi feroci Volsci ei Veliterni formarono un buon esercito per attaccare i Romani., Furio Camillo nominato per la sesta volta Tribuno Militare, combatté e vinse i nemici.

In seguito i Prenestini si collegarono coi Tiburtini (Tivoli) e i Veliterni (Velletri) a difesa di Gallicano contro i Romani, i quali però sotto Gallicano furono vinti dallo stesso Camillo, e li multarono di una parte delle terre.

Indi i Prenestini divennero soci del popolo romano e poco appresso si trasfusero in Roma le due famose famiglie Cecilia ed Anicia, che divennero tanto illustri, massime la seconda nella decadenza dell'Impero.

Il Senni, nella sua opera, accenna che Claudio Tiberio, discendente d'ambedue i rami dell'antichissima famiglia Claudia, possedeva, fra le altre, una villa nel territorio di Cave; si vuole che sia stata proprio in Contrada Colle Palme, ove esistono tuttora i ruderi di un suntuoso palazzo contornato di lussureggiante vegetazione ed ottima acqua sorgiva.

Claudio Tiberio dovrebbe aver soggiornato in questa villa durante la guerra contro Augusto. Divenuti in seguito buoni amici, Tiberio cedette ad Augusto la propria moglie Livia, benché gravida e poco dopo la ripudio.

Vi furono altre ville in tutto il territorio prenestino di allora, come quelle di Ovidio Nasone Publio (43 a.C.) e (17 dc); di Augusto( ? ) ; di Plinio Gaio Cecilio Secondo, detto il Giovine (62 a.C. - 114 dc); del celebre oratore Simmaco Quinto Aurelio ( ? - 410dc) che fu console a Roma nel 391, ed anche ultimo difensore del Paganesimo.


Pirro colui che voleva imitare e superare il grande Alessandro, compiendo colle sue vittorie, specie contro i romani, il giro del mondo, ebbe modo di calpestare queste terre prenestine e salire su Castel San Pietro (m. 850) per osservare meglio la distesa della campagna ed osservare da quell'altura le mosse dell'esercito romano.

Ma dopo la terza battaglia tenuta nell'anno di Roma 478, preso Taranto, fu sconfitto definitivamente da Curio Dentato, obbligandolo a tornarsene in Epiro, dove, nella presa di Argo, fu ucciso da una povera donna lanciandogli sulla testa dall'alto di una finestra una tegola, perché Pirro le aveva ammazzato un figlio.

Così fini quell'audace avventuriero.

Mario e Silla

La guerra contro i popoli vicini occupavano Roma ogni anno. Le più terribili sconfitte non distrussero gli stati, e le più luminose vittorie poco accrescevano il loro territorio.

Nell'anno 464 a.C. Roma fu devastata da una pestilenza. tale flagello sacrificò tante vittime, che non bastarono i carri per i trasportarle, e a mucchi erano gettate nel Tevere.

In tale occasione furono i Romani battuti dai Volsci e forzati a chiedere la pace; in seguito però gli stessi Volsci, nonché gli Ernici e gli Equi vinti dai Romani, entrarono ad ampliare il Lazio, che dominò il mondo.

Dopo i guasti recati alle nostre terre dall'avventuriero Pirro, non mancò in Roma e d'intorni, ad essere teatro di nuove guerre intestine.

La guerra sociale condotta con una certa debolezza da caio Mario il Vecchio, tanto gli diminuiva la fama quanto ne aumentava al suo competitore Lucio Cornelio Silla, al quale fu anche affidato il comando di una spedizione contro Mitridate nel Ponto.

Da questo fatto sorse la lotta fra i due antagonisti; lotta che degenerò in una serie di stragi civili sanguinosissime (88 a.C. 1ª guerra civile), durante le quali, Mario console per la 6ª volta, trascinato da due facinorosi, Saturnino e Glauca, offuscava la gloria procuratosi nelle imprese precedenti.

Caio Mario detto il Giovine (109 - 82 a. c.) nipote e figlio adottivo del suo nominato Caio Mario il Vecchio, celebre generale romano nominato Console per ben sette volte (155 - 86 a. c.) fu collega di Cinna nel potere e imitò il padre, non perdonando a nessuno dei patrizi.

Essendo stata grande la misura in tutto lo stato romano, né potendo i debitori pagare i debiti, Mario alzò per legge il valore della moneta e diminuì i debiti di 3/4 della somma iniziale, onde la plebe gli innalzò statue.

Lucio Cornelio Silla violento a sangue freddo e meditabondo nella servizia dopo aver debellato tutti i nemici della Repubblica Romana, passò a combattere alcuni particolari nemici suoi, come fu di Mario il Giovine. Questi fu incontrato da Silla in vicinanza di Segni, dove diede gli battaglia; gli uccise oltre ventimila uomini e l'incalzo tanto che obbligò Mario, passando anche sul territorio di Cave, a chiudersi in Palestrina (Preneste). Questa battaglia, Tito Livio la chiama di Sacri porto, nei presi di Plumbinara o Pimpinara tra la terre di Segni e Valmontone.

Vinto il giovine Mario, entro Silla in Roma senza contrasto, limitò la sua vendetta alla sola confisca dei beni dei fuoriusciti; poi lasciando una guarnigione nella città andò contro Preneste per combattere l'esercito Sannita che muoveva a soccorrerla.

Silla fremente di rabbia, ordinò l'eccidio di tremila prigionieri; fece recidere le mani e la lingua al fratello di Mario e, prima di ammazzarlo, gli fece cavare gli occhi, indi fece gettare entro la città di Preneste il capomozzo dei generali Marcio e Carino. Quali tempi tenebrosi ! e gli uomini più perversi ottenevano ogni favore da Silla ai loro delitti.

Costernati gli abitanti per la disfatta dei Sanniti e disperati d'ogni soccorso, si ammutinarono contro il loro comandante Mario e si arresero a Lucullo.

Palestrina (Preneste) non solo subì l'assedio, L'espugnazione e il saccheggio, ma pur anche la strage dei cittadini, tranne i fanciulli e le donne.

Il giovine Mario abbandonato in tal modo si uccise col suo pugnale in uno dei tanti cunicoli che trovasi nel territorio. La sua testa fu mandata a Roma e, per ordine di Silla, inchiodata sul podio dell'arrengo.

Con questo orrendo eccidio, mancando i coltivatori di sì vasto territorio e lo assegnò ai fanciulli prenestini, ed ai suoi soldati veterani, i quali dopo la sua morte furono solleciti, dice il Moroni, di vendere ai ricchi le loro quote o terre; così il territorio, compreso anche quello di Cave, fu tra pochi doviziosi proprietari ripartito, e le campagne divennero ampie ville dei facoltosi romani e di pochi prenestini.

I prenestini nutrendo risentimento pei sofferti danni, seguirono poi le parti di Giulio Cesare, nella guerra civile contro Pompeo creatura di Silla. É da credere dunque, che dopo le vittorie di Cesare i prenestini ricuperassero in parte i paterni poderi.

ai triunviri prevalse Ottaviano Augusto nipote di Cesare, che divise il grande agro prenestino in due parti; una fu quella intorno alla città e suoi monti, l'altra da questi separata e prossima ai monti opposti; questa porzione lontana fu divisa ai soldati, l'altra ai cittadini. Così la porzione toccata ai soldati di Augusto abbracciava tutto il presente territorio di Paliano, Serrone, San vito, Pisciano (ora Pisoniano) e porzione di Genazzano. La porzione più comoda, poi lasciata libera ai prenestini, fu quella del territorio di Genazzano, di Cave e di Palestrina, che comprendeva non poca parte delle terre che ora formano i territori di gallicano, Zagarolo, Lugnano, Valmontone.

La parte divisa ai soldati fu colonia militare, e l'altra colonia urbana. Dimodoché la terra di Cave ricca di acque e di boschi, divenne in seguito pur comodo soggiorno di moltissime famiglie patrizie romane e prenestine e perfino dagli imperatori.

Cave: il primo nucleo

Il primo nucleo dell'antico castello di Cave ebbe origine negli anni dell'alto Medio Evo, intorno ad alcuni monasteri benedettini dipendenti dall'abbazia di Subiaco.

Questo primo nucleo, denominato nei documenti sublacensi "Castrum Trebana", più tardi, all'inizio del secolo XI, assunse il nome di Cave, verosilmente a causa delle cave di tufo e pozzolana scavate nel territorio per le esigenze della zona e della vicina città di Preneste(Palestrina).

La zona era ricca di chiese e monasteri di campagna e i primi diritti sul territorio spettarono alle monache di San Criaco di Roma, alle quali il papa Stefano III concesse nel secolo VIII il dominio su alcune di queste chiese e sul territorio circostante, esercitando uno dei primi atti del potere temporale dei papi.

Come tutti i castelli di quel periodo storico, il castello di Cave nacque per difesa contro i barbari che, in qui secoli bui, invadevano di frequente il nostro territorio seminando dovunque terrore e desolazione. Era un castello ben difeso.

Possedeva ampie muraglie e si trovava in posizione di difficile conquista: aveva alle spalle i Monti Prenestini, difficilmente percorribili, e, dagli altri lati, era difeso da un grande fossato e dalla valle nel cui fondo scorreva un fiume ricco di acque. Fu feudo di diverse nobili famiglie succedutesi nel tempo: i Caetani, i Conti, i Borgia, i Carafa, le quali non lasciarono alcun tangibile segno del loro passaggio.

Chi, invece, impresse tracce indelebili nella storiadi Cave furono due importanti famiglie: gli Annibaldi e i Colonna. Gli Annibaldi governarono Cave con saggezza e lungimiranza e sotto la loro guida la popolazione visse un periodo di tranquillità e prosperosità. Il nome degli Annibaldi è legato a due importanti statuti per il governo del feudo: l'uno, concesso nel 1296 da Riccardo de Militiis, è oggi conservato nell'archivio di casa Colonna; l'altro, più ampio ed articolato del primo, concesso nel 1307 dal nobile Riccardo di Tebaldo Annibaldi, si trova ora nell'archivio della famiglia Orsini.

Quest'ultimo statuto è una poderosa raccolta di norme d'indole pratica, un vero codice civile e penale che regolava la vita cittadina.

Ma si ha notizia anche di un terzo statuto ampio e circostanziato, concesso ai cittadini di Cave nella prima metà del 1500 dalla famiglia Colonna che, più di ogni altra nobile famiglia, ha legato il suo nome alla storia di Cave. Il primo Colonna a comparire nei fatti storici di Cave è il capostipite della famiglia, quel Pietro della Colonna che, nell’XI secolo, s’impadronì con un colpo di mano del feudo di Cave, per sottrarlo al dominio del Pontefice di Roma che ne era de jure il sovrano.

Da quest’esordio di prepotenza ebbero inizio i difficili rapporti fra i Colonna e i pontefici romani, che si protrassero per più secoli in un’alternanza di amicizie e inimicizie, scomuniche, privilegi, guerre e paci tipiche dell’epoca. Nell'arco di tre secoli, Cave fu teatro di sanguinosi scontri.

Per due volte fu assediato e bombardato dagli eserciti papali, senza peraltro cedere agli assalitori: la prima volta nel 1482, durante la guerra fra il papa Sisto IV e il re di Napoli del quale i Colonna erano alleati; la seconda volta nel 1484 al riaccendersi delle ostilità fra lo stesso Sisto IV e i Colonna. fu poi conquistato e messo a fuoco dai soldati del cardinale Cosenza, inviati dal papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia) che aveva privato i Colonna dei loro diritti sul feudo, assegnandoli a membri della propria famiglia. ed ancora dovette sottostare alle armi dell'esercito papale, inviato da Paolo III a domare la rivolta dei feudi prenestini che si erano ribellati alla soppressione dei benefici fiscali concessi loro da Martino V.

Peraltro, in questo panorama di fatti sanguinosi, fa riscontro l'episodio dell'atto di pace che il duca d'Alba ed il cardinale Carlo Carafa firmarono in Cave, in una sala del palazzo Leoncelli, nel settembre 1557, per mettere fine alla lunga e cruenta guerra fra il papa Paolo IV e Filippo re di Spagna e di Napoli.

Ma non sempre era guerra tra il Papa e i Colonna. Ci furono anche momenti di felici rapporti: come fu con Martino V, che era un membro della famiglia Colonna, il quale colmò di favori le genti prenestine di cui era stato signore; con Giulio II, il grande papa del Rinascimento, che riuscì a riappacificare le due famiglie rivali dei Colonna e degli Orsini; e con Pio V, il quale affidò a Marcantonio Colonna il comando della flotta cristiana nella guerra contro i Turchi, che si concluse con la famosa vittoria di Lepanto. Dalla fine del 1500,

Cave visse un periodo di pace, caratterizzato dalla presenza degli ordini religiosi, dal fiorire delle confraternite e dalla costruzione delle chiese ancora oggi esistenti. La maggior parte della popolazione si dedicava ai lavori dei campi, ma anche, data l'abbondanza nella zona di boschi e macchie, ai mestieri connessi con la lavorazione del legno: il boscaiolo, il carbonaio, il falegname, il commerciante di prodotti lignei. Era frequente che le donne si dedicassero, fra l'altro, anche al mestiere di balia. Fu una balia di Cave, Teodora Petrella, ad allattare il principe Fabrizio Colonna, e, per tale ragione, i suoi discendenti furono esonerati dal pagare ogni dazio e gabella.

Per gli acquisti importanti gli abitanti di Cave si recavano a visitare le fiere della vicina Palestrina, specialmente quelle di sant'Agapito e di san Martino che duravano dieci giorni. Ad esse venivano invitati gli abitanti dei paesi vicini per partecipare alle corse dei cavalli e per visitare la fiera franca, in cui si godevano particolari franchigie e agevolazioni.

Per il servizio postale, la popolazione si avvaleva di un ufficio di corrispondenza che funzionava a Palestrina anche per Cave, Genazzano, Zagarolo, Gallicano, Capranica e San Vito. Poco sappiano sulle condizioni socio-economiche della popolazione, ma possiamo immaginare che, trovandosi in situazioni di bisogno, la maggioranza delle persone non avesse nulla e nessuno a cui ricorrere per un aiuto materiale e morale.

Perciò è massimamente in questo periodo che sorsero in Cave alcune confraternite e opere pie, con fini di assistenza sanitaria e sociale, oltre che di culto. L'ospedale dei Fatebenefratelli, il Monte frumentario, il Monte delle orfane, il Legato Mastricola e, infine, l'Ospedale Mattei, furono tutte istituzioni benefiche nate dal XVI secolo in poi.

La presenza di tali istituzioni, al di là degli scopi benèfici, è stata importante anche per il ruolo da esse giocato nella distribuzione della proprietà fondiaria e, in generale, dell'assetto patrimoniale, come si rileva dal carteggio relativo all'alienazione di molti beni avvenuta intorno agli anni Venti.

Con il trascorrere del tempo Cave cambia dimensioni ed aspetto. Le poche centinaia di persone che vivevano dentro le mura del borgo, diventano migliaia, e le case occupano via via la parte alta della collina. Nel XIX secolo Cave è ormai un grosso centro urbano, un vero paese, con le sue strade, piazze, chiese e con i palazzi e le ville delle sue famiglie maggiorenti: i Mattei, i Leoncelli, i Giorgioli, i Venzi, i Clementi.

La sua organizzazione civile e religiose si va emancipando sempre più dal potere baronale e, dopo la soppressione dello Stato Pontificio, Cave entra a far parte del Regno d'Italia. All'inizio del XX secolo viene istituito nel paese il mercato del bestiame e dei prodotti e derrate, che si svolgeva il primo sabato di ogni mese. Nel 1916 sorge il grande edificio scolastico in contrada Canepine e, quasi contemporaneamente, arriva la ferrovia che congiunge Cave con Roma e i paesi del basso Lazio. I quattro anni di conflitto della Prima Guerra Mondiale passano come una ventata rovente sull'Italia e su Cave che paga con la vita di molti suoi cittadini il tributo di sangue.

E, subito dopo la guerra, nel 1918, l'altra tragedia della "spagnola", l'epidemia influenzale paragonabile per gravità alle grandi pestilenze dei secoli passati. Maeccoci giunti ormai ai primi anni del nostro secolo, pressappoco al tempo in cui ci riportano molte immagini delle nostre pagine. é il momento di avviarci, per visitare insieme Cave di quei tempi lontani.

La Signoria Annibaldese

Per meglio dimostrare, al nostro paziente lettore, l’incremento del nuovo governo Annibaldese in Cave, troviamo opportuno trascrivere sommariamente alcune pergamene, le quali potranno essere gradite agli studiosi di cose locali.

Anzitutto dobbiamo asserire che prima del mentovato Statuto, Cave avesse già relazioni col cardinale S. Angelo, e che Riccardo di Teobaldo Annibaldi fosse nipote dello stesso cardinale. Con gran sacrificio il Comune di Cave perdeva la propria indipendenza che godeva da circa due secoli, come può ritenersi dopo l’assegnamento alle Monache di San Ciriaco. Per quanto mite fosse il regime Annibaldese pure dovette sconvolgere lo stato finanziario; per il che molti privilegi che fecero parte delle entrate comunali, furono assorbiti dal Barone.

Un tal governo, corse il lusso di più anni nei successori di tale dinastia e vari documenti successero allo Statuto a confermare lo stanziamento di tale nobile famiglia. tanta pace non tardarono i dissidi: vedemmo al Cap. XII, come due parti della Rocca fossero occupate da Caloleo ed altri, per il qual possesso unito a Cave si convenne un buon fitto nel 1154.

Dicemmo, come un tal passo portò l’erezione di Cave a Comune e lo provammo con la Convenzione fatta con Riccardo Conti e confermato indi lo Statuto nel dire: "Riccardum de Anniballensibus et Universitatem" e di più "et mandato et voluntate supradictorum dominorum Castri Cavarum et Sindaci eiustem terre". A dunque Cave avanti il 1307 si resse a libero Comune.E nello stesso Statuto, dicesi: "Roccam dicti Castri quo est in monte" in così dire la Rocca dové far parte del Comune di Cave e dominata dagli Annibaldi.

A tal proposito, in data 8 giugno 1315 esiste un atto di pignoramento a carico di Giovanni Colonna, Signore che la ereditava dalla successione della Senatrice Stefania nel 1010 come abbiamo visto, per opera dei fratelli Annibaldi.Ottenuti al breve sunto, diremo, per sola ipotesi, che questo Colonna fosse ivi trasmesso qual sub agente rettore di detta Rocca, che alla sua volta tentasse di rendersene padrone.

Tale modo di agire ripugnava agli Annibaldi e quindi si decisero al pignoramento. Passiamo ora a decifrare i singoli contratti in pergamena dal 1315 al 1408, periodo in cui si dimostra chiaramente la Signoria degli Annibaldi sul territorio e Castello di Cave.

1315

12 febbraio

In un originale in pergamena, esistente in Santa Maria Maggiore in Roma. Codice Vat. 8263, pag. 123, contiene un contratto fra Paulum Olibani de Colma filium Petri et Nicolam Anniballi de Anniballis de Cavis.

1330


Nel 1330 indi XIII, in una pergamena esistente in Santa Maria in Via Lata in Roma. Codice lat. Vat. 8044, pag. 68, vi è detto come Angelo Homodei vende a Giovanni Cessi, processi (cipressi) de Capocinis Lateranense, un prato in tenimenti Santi Honesti iusta viam Romanum inter hos fines: ab un lateretenent herdes Anniballi de Cavis, etc. 

1335
26 agosto
In detto Codice Vat. 8044, pag. 71, è detto: Lello quondam Francisci Homodei de regione Trivi locavit a pensionem in enphiteusim nobili mulieri Domine Sofie exosi quondam nobilis viri Annibaldi de Cavis Santi Honesti pronovem annis.

1336

22 marzo


Nel 1336 indictione IV martii die XXII, Sofia exare quondam nobilis viri Annibaldi de Cavis costituì procuratore nel ricevere la suddetta locazione Bonum D.Johamis Gratiani notarium. (tratto dall’archivio di Santa Maria in Via Lata in Roma). Nei manoscritti del Magalotti, nella Chigiana: Notizie delle Famiglie, vol. II, pag. 1064, afferma che Rocca di Cave da Bertoldo Annibaldi fu ceduta alla propria moglie Giovanna Colonna. In tal modo vediamo che dal 1315 al 1340, un tale dominio veniva da nuovo alla Casa Colonna e precisamente nel sesso femminile.

1347

20 settembre


Dalla cronaca Martinez, pag. 607, si riportano i nomi dei morti e feriti a Porta San Lorenzo in Roma, quando i Colonnesi mossero guerra a Roma, per abbattere il governo stabilito da Cola di Rienzo, nei quali nomi vi è un Cola Ballo de Cavi. A tale proposito fa menzione la lettera spedita dal S. Padre da Avignone a 70 più nobili romani, nella quale pregava che si accordassero per abbattere il Tribuno.

Dalla cronaca Estense, pag. 444, vi è detto Cola Ballo de Molara; già sappiamo come fosse posseduta dagli Annibaldi.

1355
28 giugno


Nell’arch. Colonna, pergamena LXXXVII. 36, si rileva una Sentenza del Senato e popolo romano, che permette a certe persone di usare rappresaglie, (nei registri comunali dicesi pure rappresaglie, ciò che oggi vuol dire atti giudiziari) contro Giovanni Caetani, signore di Ninfa e contro il Comune di Cave per alcune usurpazioni commesse in Anagni. Una tale comunanza di reato deve essere scaturita certamente da prepotenza e non da invocata giustizia. 

1362

23 settembre


Al 23 settembre 1362, arch. Colonna, pergamena LXII. 22, vi è una sentenza del giudice Palatino, a favore di Giovanna Colonna fu Giovanni, contro gli eredi di Bertoldo Annibaldi, già suo marito, per la separazione di sua dote di 51.000 fiorini d’oro, pei quali ebbe assegnato il possesso di Rocca di Cave. Ed Occilenda figlia di Giovanni Colonna, erede della madre Giovanna Annibaldi, già risposata a Nicola Montenegro, restata vedova e veniosa di tornare a vivere in Cave, un tempo dominata dai suoi avi, e diletti genitori, e vedendone il dominio occupato da estranei indirettamente, ella vera erede di Bertoldo Annibaldi, ne fece domanda al Tribunale, il quale la metteva, nel 1378, legalmente in possesso della terza parte del Castello di Cave.

1368

19 maggio


Nel 1368, al 19 maggio si venne ad una Convezione tra gli eredi di Riccardo Annibaldi, col seguente atto: nel menzionato arch. Colonna, pergamena XVIII. 60, trovasi scritto, per notaio Crescenzo Pace da Cave (parte illeggibile) che nel marzo 1368, gli Annibaldi di Cave, da vari anni avevano acquistato una giurisdizione contro Giovanni Caetani, signore di Ninfa, per la somma di 6200 fiorini d’oro. E Caterina e Giacomo Annibaldi, con tale atto, vendevano al loro fratello Bonifazio tutti i diritti a loro spettanti su Cave, salva la ripetizione in comune al loro fratello, contro Giovanni Caetani dell’accennata somma, per la quale ne fecero immediata ripetizione, ottenendone dal Senato Romano favorevole sentenza in data 19 maggio 1368, come da pergamena LXII, 25, esistente nell’arch. Colonna, per la quale sentenza, il Caetani fu obbligato a depositare la somma.

1369

25 giugno


Circa il 1369, ai 25 giugni, come da pergamena 4177, esistente in detto arch. Colonna, il celebre archivista Tomassetti, ci deduce come Giovanni ed Onorato Caetani, si obbligassero a pagare la somma di 6200 fiorini d’oro ai figli di Stefano Colonna il giovine di Sancia Caetani la loro madre e tutrice, Giordano e Giovanni, per l’acquisto di una parte del Castello di Cave ipotecato.

Ecco pertanto un passo ove ci narra come questa famiglia Colonna si fosse stanziata in Cave. E nella divisione del paese, questo Stefano si fosse reso insubordinato accattivandosi il popolo da cui ebbe il dominio che ora gli eredi cedevano ai Caetani. 

1369

25 giugno


Dalla pergamena 4177, in arch. Colonna, in data 25 giugno 1369, è che Stefano Colonna si era reso possessore di una parte del Castello di Cave, di cui Bonifazio e fratelli Annibaldi, aspiravano al ritorno del possesso. A tale incidente fu propizia l’occasione: Giovanni ed Onorato Caetani si obbligarono a pagare 6200 fiorini d’oro ai figli di Stefano Colonna, e così il detto Bonifazio poté ottenere il recupero di tale possesso, e in altre parole di quella parte occupata dai figli di Stefano Colonna, vale a dire di quel lato che chiama Santa Maria Vecchia (oggi Rifolta) con tutte le singole pertinenze. Per le altre due parti, in pratica il Grappello o Rapello lato di sopra passarono a Cecco e Matteuccio Annibaldi, i quali con atto generoso, ne fecero donazione inter vivos alla sorella Mascia o Tomascia, meglio Tomassa, la quale ebbe incontrato nobile matrimonio con Lorenzo Signore della famiglia Sanguigni, come si deduce da pergamena XX. 44 in data 13 aprile 1376, ove riportasi la menzionata donazione.

Per tale donazione in favore della nobile donna, si ebbe il regime dei Sanguigni fino a che la virtuosa donna non restasse vedova e fosse tornata in seconde nozze con Giordano Colonna.

1370

10 marzo


Su pergamena LIV. 38, in arch. Colonna, in data 10 marzo 1370, si rileva il testamento di Giovanni Caetani, rogato dal notaio Giovanni di Pietro d’Anagni, in casa dei Conti, contrada Caballo, col quale si disponeva di quanto di diritto aveva nel Castello di Cave. Contro di lui disposizioni testamentarie i suddetti eredi di Riccardo Annibaldi, nel 1373, ai 21 gennai (arch. Colonna pergamena XVIII. 71) cedevano di nuovo tute le ragioni a loro spettanti al fratello Bonifazio.

Come vediamo, il possesso di questo Castello passava ora ai Colonna, ora agli Annibaldi.

1374

24 novembre


Quanto Tancia, figlia di Pietro Colonna alias Sciarra, sposò Teobaldo Annibaldi di Montecomprati, lo zio cardinale Agapito, assegnò in dote l’ottava parte della metà di Rocca di Cave e di Colonna, ipotecandole il 24 novembre 1374, a favore di Teobaldo per la somma di 866 fiorini d’oro.

1376
13 aprile


Nel 1376, ai 13 aprili, arch. Colonna pergamena XX.44, Cecco e Matteuccio Annibaldi con donazione inter vivos, cedeva intanto due parti del Castello di Cave, insieme con altri poderi, a Tomascia la loro sorella, la quale riceveva come dote, nell’atto di matrimonio che essa contraeva col nobile Lorenzo Sanguigni.  

1378

27 marzo


Al 27 marzo 1378, arch. Colonna pergamena XXXIV. pag. 30, vediamo come al 23 settembre 1362, a Giovanna Colonna era assegnata Rocca di Cave per il recupero di sua dote in 51.000 fiorini d’oro contro gli eredi di Bertoldo Annibaldi.

Per tale ragione, questo dominio di Rocca trasferitasi sulla 3ª parte del Castello di Cave. Avvenne poi che, contro i detentori che avevano riportato a sé il dominio, Occilenda vedova di Nicola Montenegro, già Cancelliere in Roma, erede di Giovanna Colonna, ripeteva tal dominio come giusta padrona in via legale; e sotto detta data 27 marzo 1378, era messa in possesso della 3ª parte di detto Castello di Cave e precisamente quel lato ove è posta la chiesa di Santa Maria (vecchia) ora Rifolta.

1382

13 agosto


Con istromento del 13 agosto 1382, la medesima Tancia Colonna, diveniva signora di Zagarolo, vendutole da Rita Savelli madre di lei, al prezzo di 6300 fiorini d’oro.

1385
9 luglio

Al 9 luglio 1385, arch. Colonna pergamena XX. 51, è che Mascia (Tomascia) Annibaldi coniugata a Lorenzo Sanguigni, rimasta vedova, ed essendo padrona delle due parti del Castello di Cave (come abbiamo detto in precedenza nel 1369), mosse il cammino in retto sentiero, verso l’antica chiesa di Santo Stefano (vecchio) e Sabino e annesso Monastero, collo erigerlo a Parrocchia.

I preti secolari che la ufficiavano, vennero da lei tolti, introducendovi i Frati Agostiniani, con atto del 9 luglio 1385, per mezzo del notaio Sciarra Nicola. Costituiva così il patronato con le sue sostanze e più che mai propensa a beneficare il paese di Cave onorandolo di sì glorioso culto.  

1385
15 agosto


Con altro atto Mascia fece assoluta donazione di tutti i suoi singoli beni a favore della Chiesa e Convento di Santo Stefano.

1388
30 luglio
Al 30 luglio 1388, arch. Colonna, pergamena LXII. 42, Giordano Colonna si era reso padrone dell’altro terzo di Cave, con un sopravento recando non pochi guasti nel territorio. Dimodochè Giacomo Annibaldi trovandosene offeso, reclamava per il patito insulto e n’ebbe favorevole sentenza dal Beato Giudice, obbligando il Colonna a reintegrare e restituire tale possesso.
Onde impedire poi che sorgessero delle rivalità, fu obbligato Giacomo a dare in moglie propria sorella Caterina Annibaldi a Giovanni Colonna fratello di Giordano.
Con questo connubio si ebbe in Cave una pace duratura, apportando così una desiderata tranquillità e operosità. 
1388
1° agosto
Al 1° d’agosto 1388, arch. Colonna, pergamena XXXIV. 35, si rileva che in seguito al matrimonio di Caterina Annibaldi e Giovanni Colonna, le due famiglie strinsero alleanza per la pace quanto per un’eventuale guerra contro i comuni nemici.
Tale concordia avvenne appunto il 1° agosto 1388, tra Giordano e Giovanni Colonna figli d’Agapito Signori di Cave e Giacomo Annibaldi Signore di Rocca di Papa.
Da ciò, si deduce che il Castello di Cave era in parte sotto il dominio di Giovanni e Giordano Colonna e parte sotto Giacomo Annibaldi. 
1394
15 gennaio
Nel 15 gennaio 1394, arch. Colonna, pergamena LVI. 85, era nata una discordia tra il Comune di Subiaco ed i Colonna di Genazzano - Morolo - Cave - San Vito Romano - Capranica - Ciciliano. Grave era l’incidente e se ne prevedevano serie conseguenze; per arginare una sicura guerra, il Comune di Subiaco, con senso squisitamente cavalleresco, nominò una Commissione che inviò ai Colonna per perorare la pace, e così avvenne nel 1395.
Da quest’anno sino al 1401, la Diocesi di Palestrina, di cui faceva parte anche Cave, fu amministrata dal Protonotario Oddone Colonna, che dopo di tale saggia operosità fu poi eletto Papa col nome di Martino V.
1396
25 ottobre
Nell’arch. Colonna, pergamena X. 48, vi è una Bolla di Bonifacio IX, colla quale conferma il patronato istituito da Mascia Annibaldi a favore della chiesa di Santo Stefano in Cave.
1399
26 marzo
Al 26 marzo 1399, arch. Colonna, pergamena III. 7 e codice lat. Vat. 79. 31 pag. 59, Regesto Bonifacio IX, il quale conferiva la terza parte del Castello di Cave a Mascia Annibaldi, che, vedova di Lorenzo Sanguigni, maritata a Giordano Colonna, col consenso delle di lei sorelle Rita (Margherita) e Maria monache in Roma, nel Monastero di San Silvestro in Capite. Secondo il regesto di Bonifacio IX, tale terzo del Castello era separato dalle altre due parti e suo territorio e vassalli e popolo, posseduto da dette religiose. Dato a Roma Dopus Sanctum Petrum VI Calendas Aprilis, anno X.
1400
16 agosto
Ai 16 agosti 1400, arch. Colonna, pergamena XX. 55, donazione inter vivos a favore d’Oddone Colonna fatta da Occilenda figlia di Giovanni Colonna, vedova di Nicola Montenegro, Cancelliere di Roma, come vedemmo nel 1378, essere succeduta a Giovanna Colonna già moglie di Bertoldo Annibaldi.
Tale donazione consistente in beni rustici, da che può bene riprodursi in Catasto di quell’epoca. Quest’atto di somma importanza ci dalla vera forma di cognome Veneranieri apposto a quel famoso Paolo di questo tempo in Roma, nome che era su tutte le cronache e che ci porta ad un tempo di sconvolgimento in cui tale famiglia tanto si distinse nella Repubblica del 1436, di cui vedremo.
1400  

In quest’anno Eleonora moglie di Bertoldo Annibaldi, sorella di Giacomo Annibaldi, vendeva a favore di Giordano e Lorenzo Colonna, la terza parte di Cave. Quanti padroni!
Con questo stato di cose le genti di Cave avevano perduto la libertà, coraggio, fede e si dibatteva spesso con la fame e mille necessità, accompagnate anche dai cataclismi della terra e del cielo.
1401
21 gennaio
Nell’arch. Colonna, pergamena LVI. 86 / XVIII. 110, è un atto col quale Rocca di Cave passava al domino degli Orsini, Conte di Tagliagozzo. Dominio acquistato da Giacomo e Caterina Annibaldi per mezzo di procura rilasciata a favore d’Antonio Cascia, il quale acquistava in nome del detto Giovanni Orsini. 
1401
1° maggio
Nell’arch. Colonna, pergamena III. 29, al 1° maggio 1401, Bonifacio IX, valendosi del sommo patrocinio qual era del ius iure de Beati Petri la padronanza dei sommi pontefici su Cave invocata da Pasquale II nel 1101, conferiva intanto una terza parte del Castello di Cave e della Rocca ad Adenolfo Conti, la quale parte era stata conferita dalla Camera Urbana a Bertoldo, Gentile, Ildebrandino, Giovanni e Giacomo del fu Nicolò Riccardo Annibaldi.
1401
18 luglio
Gli abitanti di Cave però mossi da generoso rispetto per la magnanimità di Giordano e Lorenzo Colonna, specialmente di Giordano, il 18 luglio 1401, volendo onorarlo, gli giurarono fedeltà e per dimostrargli la loro gratitudine, fecero tripudi d’allegria e gli prestarono omaggio d’esaltazione quale vero benefattore.
Questo tripudio durò poco, perché gli Orsini sempre nemici dei Colonna, passarono al dominio di Rocca di Cave, come lo dimostra la pergamena seguente.
1402
5 ottobre
L’anno seguente, e cioè al 5 ottobre 1402, il Pontefice dava al predetto Teobaldo Annibaldi, in compenso dei suoi servigi resi alla chiesa e al popolo romano, due terzi del Casale Torre di Giacomo, cioè di Torre Jacova, incamerata per delitto di lesa maestà, perpetrato da Domenico Palosci.
1404
14 marzo
IL 14 marzo, Teobaldo Annibaldi comprò due once del Castello Colonna dalla stessa Margherita o Rita Savelli del fu Giacomo e moglie dei Pietro Colonna, suoi suoceri.
Tale vendita eseguita dalla Savelli, era fittizia, poiché testando istituiva suoi eredi il nipote Riccardo e Giovanni Annibaldi, figli di Tancia e di Teobaldo stesso.
1405
1° settembre
Arch. Colonna, pergamena LXIV. 43, Roma sollevata contro Innocenzo VIII che fuggì da Roma. I Governatori della Repubblica si rimettono a Giordano Colonna ed ai suoi vassalli di Cave, Genazzano ed altri feudi, ogni pena per le ostilità in addietro mostrate.
1408
26 agosto
Per il notaio Antonio Sedde di Cave, arch. Colonna, pergamena XVIII. 124, si riporta una vendita fatta da Ildebrando Conti di Paolo di Pietro Cola da Cave di terra in contrada Erna o Casale di Tomasso, confinante col territorio di Cave e beni di Santa Maria in Valmontone.
Tale documento ci dà a credere essere questi fondi appartenenti a due nobili famiglie (qui la pergamena è corrosa).
In seguito a questa vendita ci fa credere che gli Annibaldi cominciassero ad allontanarsi dal governo di Cave e ritornare quello dei Colonnesi.
Siamo giunti al 26 agosto 1408 e crediamo opportuno di fare una parentesi per riprendere il filo di questa narrazione, collo riassumere in momento opportuno le sullodate pergamene ci hanno detto sugli Annibaldesi.
Secondo il Margolotti, con la morte di Maria Annibaldi si contestò l’eredità di Cave; e con una Convenzione fatta con Giordano Colonna, terminò il dominio Annibaldese.

I Colonna

Prima di inoltrarci a narrare le vicende della terra di Cave, dopo la pace ivi pattuita il 7/14 settembre 1557, è d'uopo sintetizzare al quanto le figure che diedero lustro alla Casa Colonna, nel volgere dei tempi.
Anzitutto diciamo che la Casa Colonna diede al Sacro Collegio 27 cardinali, diversi patriarchi, arcivescovi, ecc.; molti decorati d’insigni ordini, come del Tonson d’oro dell’ordine gerosolimitano, grandi di Spagna di primo ordine, viceré, castellani di Paliano, ecc.; insigni guerrieri e dotti personaggi tra cui donne illustri.
I primi Colonnesi appariscono nella storia fin dal 795 di G.C. con Adriano I discendente dei Conti Tuscolani, poi seguì il notissimo Petrus Colonna sotto Gregorio VIII e via di seguito sino ai nostri giorni, come vedremo brevemente continuando nella nostra narrazione.
Tutti i Colonna, non bisogna negarlo, rispettarono le romane antichità e furono dei pochi magnati romani che non le abbandonarono alla distruzione.
Lo stemma dei Colonnesi è rappresentato da una colonna di marmo su campo rosso, sovrastata da una corona d’oro, concessa ai Colonnesi da Ludovico di Baviera (1328) in riconoscenza all’impegno che essi mostrarono per farlo coronare in Roma, e perché Sciarra Colonna, il ribelle contro Bonifacio VIII, come uno dei quattro sindaci del popolo romano nella incoronazione, gli impose l’imperiale corona
S. Pio V concesse a Marcantonio, il Trionfatore che sconfisse i Turchi a Lepanto, di mettere intorno allo stemma gentilizio alcuni cannoni e stendardi con emblemi militari e alcuni schiavi legati.   In un marmo tolto da Palestrina, si vede lo stemma dei Colonnesi, forse scultura del secolo XV, senza corona sulla colonna, ed è in lui sovrastata la targa da un cimiero con penne e da un serpente attorcigliato ad un’altra colonna, forse concessione dei Visconti Duchi di Milano, giacché un nipote di Martino V Colonna, doveva unirsi in matrimonio col duca Filippo Maria. Il non essersi sulla colonna la corona d’oro del Bovaro, fa supporre che tale privilegio, primo non fosse comune a tutti i Colonnesi.
Il Novares dice, che Prospero Colonna, per aver assistito in Roma alle incoronazioni d’Enrico VIII nel 1312, e di Ludovico il Bovaro nel 1328, ebbe la corona d’oro per mettere sulla colonna, suo stemma.
E nel 1468 riscontriamo che Giordano Colonna, divenuto assoluto padrone e signore di Cave, adottò uno stemma rappresentante una sirena che abbraccia, con la destra una colonna sormontata da una croce.
Poiché lo studioso di cose storiche sia alquanto informato circa alla Casa Colonna, crediamo accennare i maggiori protagonisti che interessano le terre prenestine.
Nel 1288, Nicolò IV, che fu Vescovo di Palestrina, prese tanto ad amare i Colonnesi che di sua iniziativa vollero creare Pietro cardinale, Giovanni marchese d’Ancona e Stefano conte di Romagna; ed è perciò che satiricamente si affermò che il Papa fosse stato dipinto chiuso in una colonna, fuori della quale appariva il solo suo capo mitrato, per far conoscere che egli governava lo stato a tutta disposizione dei Colonnesi.
Non crediamo aggiungere quali e quanti furono i Colonnesi che insorsero contro i papi, specie contro Bonifacio VIII, poiché nel Capitoli XVIII e XIX n’abbiamo parlato diffusamente e che a Sciarra Colonna il Pontefice offrì la sua testa volendo morire da Papa.
Nell’anno 1400 ci vengono alla memoria Giordano e Lorenzo Colonna divenuti in parte padroni di Cave, in seguito alla cessione fatta da Eleonora Annibaldi; e nel 1468 Giordano Colonna divenne padrone assoluto di questa terra, terminando il dominio Annibaldese che era durato 160 anni.
Nel 1416, sotto il Pontificato di Pio II, troviamo il cardinale Antonio Colonna ad abitare in Cave presso il fratello Duca Odoardo.
Col 1417 sorge la bella figura di Martino V Colonna, figlio d’Agapito, signore di Palestrina e di Caterina Conti, che pacificò l’afflitta Italia.
Nel 1433 cominciarono nuove scissure e Antonio e Stefano Colonna si ribellarono ad Eugenio IV.
Nel 1480 Antonio Colonna, prefetto di Roma, era il padre del cardinale Giovanni e Prospero, ed era zio di Marcantonio. Antonia Colonna altra figlia d’Antonio che le lasciò alla sua morte le vacche.
In quel torno di tempo troviamo tre colonnesi tutti di Genazzano e in altre parole Girolamo fratello illegittimo del cardinale Giovanni protonotario e Prospero.
Come abbiamo già veduto, durante l’assedio di Cave, troviamo Fabrizio Colonna difensore di questa terra contro il Papa.
Meritano menzione il sullodato Prospero figlio d’Antonio e il cugino Fabrizio di Genazzano che riempirono di gloria dei loro nomi tutta l’Europa, specie nel difendere ardentemente il Papa Innocenzo VIII.
Memorabili sono anche il cardinale Pompeo e Ascanio Colonna allorquando Clemente VII pubblicarono la lega con Carlo V.
Nel 1526 ai due di agosto Vespasiano Colonna firmò un accordò con Clemente VII contro i Colonnesi che erano di idee imperialistiche e che diede agio a Pompeo Colonna di mettere a soqquadro anche la chiesa di San Pietro in Vaticano. La bella e intelligente Giulia Gonzaga rimase vedova di Vespasiano, che la lasciò nel castello di Fondi.
Nel 1541 Ascanio soffrì la miserabile vicenda di una guerra contro Paolo IV. Marcantonio Colonna II figlio d’Ascanio, giovine di grande animo, spoglio il padre dello stato.
Fabrizio fu il primogenito di Marcantonio II, che ebbero da S. Pio V il principato di Paliano con privilegio d’essere Capo - feudo di tutti i Castelli dei Colonnesi. Il Papa lo fece di spontanea volontà il 29 marzo 1569.
È da ricordare che Camillo Colonna (1554 / 1556) odiò tanto Paolo IV che lo fece arrestare in Cave. Seguì la disgraziata guerra di Campagna e Marcantonio II perorò per l’Imperatore Filippo II di Spagna contro Paolo IV, Alessandro Colonna comandava le truppe papali col favore anche di Francesco Colonna. Come si vede i Colonnesi erano divisi in due fazioni.
Però nel 1559, con la morte di Paolo IV, Marcantonio riscattò il possesso di Paliano e di Cave; e Pio V lo fece Generale delle sue truppe trionfanti sui Turchi a Lepanto.
Il Moroni, nel suo Dizionario, continua a dirci che Marcantonio il trionfatore, fu l’ultimo tra i Colonnesi che venisse scomunicato, e fu compreso tra quelli maledetti da Paolo IV, giacché nella menzionata Pace di Cave, avendo Filippo II esclusi i Colonnesi dalla amnistia, erano perciò sottoposti alla volontà e a disposizione del Papa.
D’allora in poi i Colonna, senza l’assistenza dei principi, non poterono più ribellarsi, provocando loro scomuniche e confische dei sovrani pontefici.
Fin dal tempo di Pasquale II i Colonnesi, pei loro principi imperiali, furono compresi nelle scomuniche della celebre Bolla in Coena Domini, che i Papi facevano solennemente pubblicare nel giovedì Santo, sulla loggia vaticana.
Il diarista Valeno, che si trovava presente, scrisse sul diario di marzo 1621, approposito di scomuniche: "il giovedì santo, mentre Papa Gregorio XV faceva leggere la Bolla, ed arrivato dove si dichiaravano le maledizioni, essendovi presente Filippo Colonna, il cardinale Giacomo Serra, con spiccata ironia disse: adesso si leggerà la maledizione di Casa Colonna".
"Don Filippo rintuzzò bramando: tu sei computista della Sede Apostolica ed il cardinale Bellarmino è cronista. Però non parlare di quello che non sai".
Il Papa si alterò contro il Serra. E l’alterco avrebbe preso una seria piega, se i dignitari che erano presenti non fossero intervenuti. Qui era il caso che il Papa avesse applicato la Bolla in parola al cardinale Serra che con poco spirito cristiano, toccò la suscettibilità del Colonna.
Bisogna sapere, aggiunge il Moroni, che le censure non si fulminavano nominalmente ai Colonnesi, per cui è una favola dei maligni il dire che, in quella Bolla, maledicesse la Casa Colonna; ma si descrivevano le censure contro coloro che perseguitavano i Papi e la Santa Sede, nelle quali censure i Colonnesi incorsero solo in alcuni tempi.
Nel 1571, al 22 febbraio, S. Pio V aveva eretto in principato Palestrina, mentre era signore Giulio Cesare Colonna. Suo figlio Francesco, per angustie economiche, vendeva i suoi diritti su Preneste per la somma di 700.000 (settecentomila) scudi romani al Papa Urbano VIII che li acquistò per suo fratello Carlo Barberini, generalissimo delle truppe pontificie.
Commovente fu la lettera che Francesco Colonna scrisse ai prenestini in quella circostanza, per metterli a corrente della cosa  parto nella dura necessità di far questo costretto a ricorrere a Dio per implorare fortezza d’animo, nel sinistro incontro.
Esso d’ora in poi si offriva da padrone, a diventare loro amico; e da principe, ad essere fedele amico.
Francesco Colonna nell’abbandonare tale feudo, fece togliere dalla Cattedrale di Palestrina, i cadaveri dei suoi antenati, che fecero trasferire in Roma nella chiesa di Santa Maria Maggiore, di cui molti Colonnesi furono benefattori.
Urbano VIII, Barberini che n’aveva fatto l’acquisto per suo fratello Carlo, vi si recò in persona a venderlo, indi passò a Cave a visitare il gran Contestabile Filippo Colonna. Quindi, con grandi apparati e segni di giubilo e venerazione, era ossequiato dal popolo e comunità religiose, con a capo il Signore di Cave e il Capitolo dell’insigne Collegiata, eretta insieme con quella di Paliano da S. Pio V, nel 1572, per le premure del Vescovo Diocesano il cardinale Ottone d’Augusta e per le munificenze del grande Marcantonio II Colonna, " Domicellus Romanus, dux castri Paleani et dominus Terrae Cavarum", proprio l’anno appresso della sua mirabile vittoria sulla flotta turca a Lepanto. E dopo aver vista, di passaggio la gran chiesa di San Carlo (ancora in costruzione) che i fratelli Biscia avevano cominciato il 4 settembre 1616, si avvia alla volta di Genazzano per visitare il celebre Santuario della Madonna del Buon Consiglio.
A pochi passi dall’abitato di Cave, in Contrada Campo, vicino all’attuale chiesa della Madonna del Campo, e precisamente dove nel 1557 si erano incontrati i messi di Paolo IV e il rappresentante di Filippo Colonna II re di Spagna per le trattative dell’avvenuta pace. In questa contrada il Contestabile Filippo Colonna fece trovare schierati tremila fanti e ottocento cavalli tolti dai suoi feudi. Qui il corteo pontificio sostò alquanto per un sontuoso rinfresco imbandito sotto apposito padiglione, costruito per la circostanza; mentre lo strepito dei cannoni dava segni di festa, per la presenza del Papa, eco ai cannoni del Campo di Cave, la non molta lontana fortezza di Paliano, con non minore frequenza di spari.
Così il feudo di Palestrina, posseduto, com’è noto, per circa sei secoli, passò definitivamente in dominio dei Barberini.
I due rami principali dei Colonna che tuttora fioriscono e che molto più hanno interessato ed interessano al nostro scopo sono il primo ramo del Contestabile Colonna principe, Duca di Paliano con altri feudi compreso Cave; il secondo di Sciarra Colonna, che dividesi in due, cioè dei Barberini Colonna principi di Palestrina ecc., e dei Colonna Sciarra principi di Carbognano, Bassanello, ecc.
Però per meglio rendere edotto il nostro lettore, crediamo di enumerare i vari Colonnesi che ebbero il nome di Marcantonio, nome che si protrae ancora nel nostro secolo, fosse per tenere testa la memoria del trionfatore di Lepanto.
Durante gli anni 1503 / 1513 Marcantonio Colonna fu adottato per nipote da Giulio II della Rovere, perché con cento armati si era recato a soccorrerlo a Bologna contro i Bentivoglio.
Servi il papa in tutte le guerre celebri del suo tempo, fu valoroso capitano e l’Imperatore Massimiliano I, lo fece suo luogotenente in Italia.
Giulio II adottò pure per nipote un altro Marcantonio Colonna I che lo ammogliò alla nipote Lucrezia.
Nel secolo XVI si ebbe altro Marcantonio Colonna cardinale, nobile romano, nato nel 1523, versatissimo in ogni genere di studi, vinse con la virtù e con la scienza nella quale ebbe a maestro fra Felice Peretti che in seguito fu Sisto V.
Nel 1560 Pio IV lo promosse arcivescovo di Taranto. Fu poi legato della Marca di Marittima e Campagna sotto Sisto V e poco mancò che divenisse Papa. Nel 1587 ebbe da Sisto V il vescovato di Palestrina e l’abbazia di Subiaco. Morì a Zagarolo nel 1597.
Sotto Pio V, la storia ci riporta alla bella e maschia figura di Marcantonio II Colonna, il vincitore di Lepanto.
Un nipote del trionfatore, per nome pure Marcantonio, pronipote di Sisto V, aveva sposato Felice Orsina di Fabio Damasceni Peretti, fu nominato Principe assistente al Soglio Pontificio. Nello stesso tempo fu concessa la stessa onorificenza a Virginio Orsini, e ai loro discendenti; dignità che rimase in perpetuo alle due famiglie.
Con la morte del nipote del Trionfatore (1590), la moglie ne fu tanto addolorata che per tutta vita sottoscrisse le lettere l’infelice Orsina.
Nel 1679 S. Maestà cattolica nominava Viceré D’Aragona il Contestabile Colonna; dovendo questi prendere possesso di quel regno, il Comune di cave, imitando quello di Marino, con deliberazione del Consiglio del 12 aprile, dimostrarono esultanza per quell’avvenimento e decisero nello stesso tempo di donare a lui il prodotto dell’affitto del Macello per gli anni 1679 e 1680, erogandone atto notarile il cui Notaio avrebbe dovuto far presente in occasione del suo ritorno a Roma, passando per Cave.
È da notare che questo popolo, ora tanto affezionato al suo Signore, non lo era quattordici anni avanti. Difatti nel 1765 in una relazione scritta da Girolamo Olderico Leonetti Vice Marchese del Contestabile Colonna, conservata nell’archivio Colonna, ci riferisce alcune particolarità su Cave e Rocca di Cave, come la ripugnanza del Clero e del popolo a riconoscere il patronato della nobile Casa Colonna. Vi fu disordine amministrativo d’ambo le parti, avendo il Comune messo a parte il Sigillo ed atterrata la colonna, mettevano a parte la Sirena, trascurando ogni cosa relativa a detta Casa.
Rocca di Cave al dir del Leonetti, non aveva Casa Comunale per tenere pubblico Consiglio. Gli abitanti eleggevano due ufficiali l’anno confermati dal Colonna e vigilati dal Vice Marchese di Cave, con obbligo di recarsi sul monte almeno una volta il mese per il buon ordine. Ci riferisce anche che il paese era povero e solo chi aveva il prete in casa riusciva a tirare avanti la vita. Nel 1784 il popolo di Cave si ribellò ai Colonna, negando loro a chi per essi, tutte le corrisposte e decime dovuta o voluta, sui fondi di questa terra.
Nell’archivio Comunale abbiamo trovato anche una lettera in data 18 settembre 1784 che indica i provvedimenti emanati contro tredici coloni di Cave, i quali si rifiutarono di dare la decima in natura alla Casa Colonna. I trasgressori furono obbligati a pagare il doppio di quanto avevano detratto.
Nel 1759 c’è un altro Marcantonio Colonna, eletto cardinale da Clemente XIII; fu Vescovo di Palestrina. Era nato in Roma il 16 agosto 1729 e morto in Roma il 4 dicembre 1803, lasciando memoria di specchiata virtù.
Sotto Pio XII, Pacelli, in occasione dell’anniversario della sua celebrazione al Pontificato, concesse il Supremo Ordine di Cristo al Principe D. Marcantonio Colonna, Assistente al Soglio. Erano testimoni i due Cavalieri Principe Chigi e Principe Ruspali. La cerimonia si svolse nella Cappella della Contessa Matilde. Tutte le personalità presenti felicitarono con cordiali espressioni d’augurio l’illustre Patrizio.

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By John Smith posted July 20, 2016