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MAPPA ARCHEOLOGICA
DI CAVE

 

 

 

 

 


TERRITORIO E INSEDIAMENTI

Epigrafe Materiale vario Cisterna Cunicolo Materiale vario Chiesa convento Cisterna Basilica Sepolcro Chiesa monastero Cisterna Villa Villa con perimetro non definito Villa con perimetro non definito Chiesa Tomba Villa Chiesa Monastero Tomba Cisterna Villa Chiesa Monastero Frammenti fittili Castrum Trebanum - Cave Villa con perimetro non defiinito Tomba isterna Cisterna Tombe Cisterna Ninfeo Chiesa Rapello Ponte Cisterna Villa perimetro non definito Villa Frammenti fittili Cisterna Villa Villa perimetro non definito Vasca AQcquedotto Villa perimetro non definto Tombe Frammenti fittili Resti incerti Frammenti fittili Villa perimetro non definito

 

Formazione geomorfologica

Formazione geomorfologica

Flora

Trasformazione del paesaggio

Fauna

Trasformazione del paesaggio

Protostoria

Cenni storici e insiedamenti umani

Viabilità protostorica

Cenni storici e insiedamenti umani

Età orientalizzante e arcaica

Cenni storici e insiedamenti umani

Viabilità nell'età arcaica

Cenni storici e insiedamenti umani

Età repubblicana

Cenni storici e insiedamenti umani

Età imperiale

Cenni storici e insiedamenti umani

Proseguimento della via Prenestina detta anche via Pedemontana o Trebana

Viabilità in età repubblicana e imperiale 

Via della Selva

Viabilità in età repubblicana e imperiale 

Strada di San Bartolomeo colle Palme o via di Vallevina

Viabilità in età repubblicana e imperiale

Il Medioevo

Medioevo

Formazione geomorfologica

La natura del territorio preso in esame è relativamente recente come del resto l'area laziale occidentale. Infatti, prima dell'era terziaria o cenozoica (da 65 a 2 milioni di anni fa), il Lazio era sommerso dalle acque ed emergevano soltanto gruppetti di monti come il Soratte, i monti Simbruini ed Ernici, tutti massicci per lo più calcarei.
Queste isole si collegarono durante il Terziario con fasce di terreni miocenici, marne e calcari marnosi, arenarie grigie e gialle: una di queste fasce era proprio formata dai monti Prenestini.
Questa catena è caratterizzata da una prima fase giurassico e poi cretacea (due sollevamenti distinti), quest'ultima formata da calcari cristallini bianchi misti ad una modesta quantità di argilla che offrono un'ottima calce grassa. Nel corso di milioni di anni si depositarono sul fondo di questo grande golfo laziale,strati potenti di sedimenti, di sabbie finissime, di argille miste a calcare, derivate dalle terre emerse o dalle spoglie di organismi marini che coprirono il basamento mesozoico(1).
Durante l'era Cenozoica le masse calcaree dei monti furono oggetto di movimenti bradisismici, mentre la piattaforma sottomarina era sollecitata da assestamenti diversi, fessurandosi in un complesso di faglie correnti, il cui vario sollevarsi ha determinato l'abbozzo della rete idrica della superficie del territorio.
L'era Quaternaria, circa 1.300.000 anni fa, è caratterizzata dall'emergere all'estremità del golfo laziale di due sistemi vulcanici: si trattava di un unico allineamento sismico che andava dai monti Volsini e Cimini ai Campi Flegrei ed al Vesuvio.
Potenti eruzioni crearono monti e coprirono di cenere vaste estensioni intercalando lunghi periodi di pausa o di attività minore o parziale che permise non solo il formarsi della vita vegetale o animale in luoghi poi sepolti da eruzioni successive, ma anche il rimodellamento della morfologia locale(2).
Durante il primo periodo eruttivo l'area sud orientale che racchiudeva la bocca principale era costituita dall'Artemisio, Rocca Priora, Tuscolo e la Molara e tra le bocche ausiliarie si trovava il lago Gabino non lontano da Palestrina. A causa di queste fasi eruttive gli strati che si erano depositati sui monti Prenestini durante l'Eocene, caratterizzati da calcari grigi, banchi di lignite e resti di nummularie e planulate si sollevarono dalla loro giacitura primaria, mentre la vallata ai piedi dei suddetti monti fu in parte invasa da materiali di deiezione vulcanica: ceneri, lapilli e pomici che successivamente diedero origine a stratificazioni di tufi vulcanici.
L'attività dei vulcani Albani terminò tra i 30.000 e i 25.000 anni fa. Concludendo, dunque, i monti Prenestini sono formati da calcari cretacici tra cui figura un particolare tipo di marmo compatto di color rosso, macchiato di bianco e finemente screziato, contenente molti fossili ippuriti, radioliti e zoofiti, denominatola causa delle macchie anulari degli ippuriti, occhio di pavone rosso o più comunemente breccia di Rocca di Cave.
E' presente inoltre un altro marmo caratteristico, di color bruno con venature di color rosato, di buona qualità, ma, purtroppo, raro(3). (vedi immagine) rappresenta un ingrandimento dell'area compresa nella tavoletta 150 II NE all'interno della carta geologica del Foglio 150 dell' I.G.M. In essa si distinguono diverse zone colorate che rappresentano le formazioni piroclastiche e laviche dovute all'attività del vulcano laziale.

Il colore rosa chiaro indica un'area caratterizzata soprattutto da tufi ocracei con abbondante leucite e intercalati da agglomerati di proiettili vari; sono presenti in percentuali minori anche tufi grigi poco coerenti con leucite alterata. Nella zona più scura si registra la presenza di pozzolane superiori grigie o violacee in massa, con proiettili scoriacei e blocchi rigettati, pozzolane grigie a scorie e lapilli neri.
Alternate a queste zone troviamo delle piccole aree indicate con il colore viola chiaro, che rappresentano concentrazioni di scorie e lapilli scuri (pozzolana nera) più o meno grossolani, con interclusi grossi blocchi lavici (conglomerato giallo) e pozzolane inferiori violacee e rosse in massa, con abbondanti proiettili scoriacei bruni e rossastri insieme a piccoli frammenti di calcari marnosi a consistenza farinosa. Spiccano inoltre alcune esigue fasce caratterizzate dal color ocra, che indicano le aree con presenza di tufo litoide lionato di varia origine.
Tali fasce presentano facies diverse: compatte e uniformi, con fessurazioni prismoidi, a brecciate e infine incoerenti (pozzolane), la colorazione varia da giallo ocra a rosso fulvo, mentre alla base da grigio verdastro a nero con inclusi resti di molluschi terrestri, dolcicoli, resti di mammiferi (cervo, elefante), impronte calcarizzate di legnami e filliti. Tutte le suddette aree risalgono come formazione al Pleistocene medio, mentre le parti colorate in azzurro chiaro si sono formate durante il Pleistocene inferiore.
Esse sono rappresentate da sabbie eoliche di colorazione giallo rossastra, ghiaie fluviali chiare in massa e argille con lenti di lignite torbosa a flora arcaica, passanti lateralmente e in parte sottostanti alle ghiaie stesse.
E' chiaro che quest'ultima fase caratterizza le aree interessate da risorse idriche.
Dall'osservazione dalla figura 1 l'andamento N-SE che si collega al corso del Savo, affluente del fiume Sacco, fa pensare alla presenza di numerosi corsi d'acqua, ma come si può constatare da una sommaria analisi delle carte relativamente antiche, le risorse idriche attive sono notevolmente diminuite(4). Strabone(5) ricorda che la regione di Praeneste era attraversata dal corso del fiume Verestis la cui identificazione non è stata ancora accertata, ma potrebbe trovarsi nell'area qui presa in esame. Infatti un tracciato fluviale è riconoscibile nel percorso che da ponte S. Gordiano passa attraverso il fosso di colle Palma dove tuttora vi si getta un ruscelletto(6), e poi prosegue lungo il fosso di valle degli Archi e valle Signori fino a congiungersi al fosso Savo.
Un altro corso d'acqua passava immediatamente a nord di Cave attraverso il cosiddetto Vallone (I.G.M. fosso di Cave) alimentato da due sorgenti identificabili con le fonti del Cuore e Ciagoli e, passando attraverso il fosso detto Rio, si gettava anch'esso nel Savo. Il toponimo Rio e il termine via della Ripa per indicare la strada che attraversava il fosso e un tempo conduceva a Palestrina dimostrano palesemente il passaggio di un corso d'acqua. Il torrente principale che passa a sud di Valmontone è il Savo, affluente del Sacco, oggi ridotto ormai ad un ruscello. La struttura stessa di una valle ad est di Valmontone ed una toponomastica così chiara: valle Cupella (Botticella), valle Pesciarola e valle Acqua da tavola, confermano le tracce di un altro piccolo corso d'acqua che alimentava il Savo. Un ulteriore ruscello anticamente passava sotto il ponte dell'Ospedalato e attraverso fosso dell'Ospedale e valle Ninfa raggiungeva il Savo; le sue tracce però sono molto più attenuate rispetto alle precedenti in quanto le curve di livello sono più addolcite e la profondità del fosso è minore, ciò indica che il corso d'acqua ha avuto una vita più breve o forse un regime meno regolare rispetto agli altri. Infine un altro corso d'acqua passante per valle della Mola alimentava un piccolo laghetto (laghetto di Lugnano) oggi ormai prosciugato. 




1 - R. Almagià, Lazio, Torino 1966, pag. 38-42. 

2 - G. Colonna, Preistoria e protostoria nel Lazio, in Popoli e civiltà dell'Italia antica. Roma 1976, pag.5.
3 - G. Mantovani, Descrizione geologica della campagna romana, Torino 1884, pag. 49; G. Presutti ,Cave prenestina, Roma 1909, pag. 173 . 

4 - P.A. Frutaz, Le carte del Lazio, Roma 1970.

5 - Strab. V, 11.
6 - La località in questione si chiama colle Fischietto, voce onomatopeica che indica lo sgorgare di acqua.

Formazione geomorfologica

Flora

Anticamente il Lazio doveva avere un aspetto selvaggio, estensioni di boschi scendevano ininterrottamente dalle cime dei monti fino al mare. Selve plurisecolari di abeti, faggi, betulle, querce, ontani, cerri, lecci ... riempivano la regione interna e via via che ci si avvicinava alla costa si incontravano boscaglie di alloro, oleastri, mirti, ginepri... In origine dunque i monti erano rivestiti da boschi o più spesso da macchie, ma le coltivazioni hanno via via conquistato le aree vulcaniche che costituiscono le zone più favorevoli per vigneti e uliveti, mentre soltanto le distese coperte da una crosta più dura e povere d'acqua erano utilizzate per il pascolo(1).
Un periodo di intensi disboscamenti sembra che si sia verificato durante la fine della Repubblica e nel primo periodo imperiale; essi riguardavano soprattutto aree di media altezza (800-1500 metri) e avvennero in diverse riprese con pause abbastanza lunghe che consentirono una naturale ricostituzione almeno parziale. Agli albori del Cristianesimo, il fanatismo religioso portò alla distruzione di estensioni di boschi sacri, che i pagani avevano consacrato(2).
Comunque il mantello boscoso non fu forse mai molto folto e compatto, neppure nelle zone montane più elevate.
Durante i Tempi più remoti l'agricoltura di pura sussistenza si limitava alle colture di cereali come il farro e l'orzo, di legumi e ortaggi come fave, piselli, rape... La sacralità di alcune piante dipendeva dalla loro utilizzazione nell'economia umana: particolarmente tutelate erano la vite, l'olivo e il fico.
Nel corso del VII secolo a.C. e in età arcaica avvenne un rapido sviluppo nel campo agricolo grazie al metodo della rotazione, all'uso della concimazione, alla nuova forma dell'aratro e all'introduzione di nuove colture come quelle del grano, della vite sativa, del melo e del pero. Precedentemente, durante l'età del Bronzo Recente, una bevanda, surrogato del vino, veniva ricavata dalla vite silvestre, mentre l'olio si estraeva dal nocciolo. Infatti l'olio d'oliva fu importato dalla Grecia solo intorno alla metà del IV secolo a.C.(3).
Plinio il vecchio nella Naturalis historia, afferma che nell'ager Praenestinus si coltivavano cipolle, noci, e rose rinomate(4).
Durante il Medioevo le notizie sulle caratteristiche del paesaggio sono strettamente legate al suo sfruttamento.
E' in particolare negli archivi notarili del X-XIII secolo che si trovano una serie di toponimi molto spesso sopravvissuti fino ad oggi che ci permettono di acquisire importanti dati per la ricostruzione dello sfruttamento delle terre. Prima di tutto si nota una rigida suddivisione tra cultum e incultum(5), quest'ultimo contraddistinto da toponimi come Silva, che indica la foresta chiara mediterranea o da termini poco rassicuranti, come in questo caso valle dell'Inferno, per etichettare un area selvaggia e poco ospitale. Nella tavoletta 150 II NE troviamo infatti Mezza Selva, collegata anche allo zoonimo Fontana Lupera. forse derivato dallo storpiamento del termine lupara, che indica appunto luoghi boscosi e poco abitati(6).
Nel XIII secolo appare anche il termine caesa (forse Colle Cesiano) che contraddistingue un piccolo bosco da taglio.
Nella documentazione notarile fanno parte dell'incultum anche le terre destinate al pascolo; nella tavoletta però, sono scarsamente presenti termini inerenti a questa attività. Il motivo, dato che l'allevamento soprattutto degli ovini, ma anche dei bovini era,in passato, ed è tuttora una delle più importanti risorse locali, è legato al metodo della rotazione dei campi che nel periodo di riposo venivano appunto sfruttati per il pascolo.
Abbastanza diffuso è il termine prata (Colle Pratarolo, Prato Bini), soprattutto presente nelle cartine comunali di Cave, Valmontone e Palestrina, che indica un terreno destinato a produrre erba da foraggio(7).
Durante l'alto Medioevo avvenne una sostanziale ripresa del mantello boscoso, mentre dal XIII secolo in poi iniziò una cospicua distruzione; purtroppo sull'argomento non esistono notizie sicure(8).
Gli alberi silvestri (castagni, querci, lecci ...), distinti da quelli da frutta e da quelli destinati alle colture estensive (olivo, noce)(9), venivano spesso abbattuti (Colle della Catasta, Ceppeto) per ricavarne materiale da costruzione, legna da ardere e ottenere nuove terre da sfruttare.
Comunque il ruolo dell'albero era essenziale nella policoltura di sussistenza, nel mantenimento del suolo, del microclima e come mezzo per indicare la parcellizzazione, tutto ciò ha determinato la sua continua presenza nel paesaggio medioevale.
La stessa toponomastica conferma la sua importanza, infatti nella tavoletta in questione sono presenti ben dieci termini legati all'albero: Colle della Noce, Colle e Valle Fico, Colle della Castagna, Valle Ontanense, Colle dell'Eschia, Colle Loreto, Grotta del Ceraso, Colle Carpineta e Colle Cerreto, Valle dei Gelsi. Quest'ultimo termine potrebbe comunque non essere necessariamente legato ad un tipo di vegetazione spontanea, ma potrebbe indicare la presenza di vere e proprie coltivazioni legate alla produzione della seta diffusesi nel Lazio tra il XII e il XIV secolo Legate allo sfruttamento del bosco, ma sicuramente nate in epoche successive erano le carbonaie, nome diffuso nella valle dell'Amene, nel frusinate, nella Sabina e nell'area prenestina. Indica il sistema secondo cui si scavavano grandi fosse per lasciare carbonizzare la legna ivi immessa dopo averla ricoperta di terra riscaldando il legno ammassato.
Si usavano soprattutto legno di leccio e di cerro. Con il termine carbone (Valle Carbone) si indicava lo spiazzo dove si accumulava il legname per lasciarlo trasformare in carbone. L'abbandono delle carbonaie ha alterato quello che era l'aspetto di una parte della zona boschiva del Lazio.
Dalla metà dell' XI secolo, con la formazione dei villaggi fortificati, si cominciò a delimitare più chiaramente i vari possedimenti, nacquero così termini come tenimentum e microtoponimi come vocabula, contratae e fundi. Nel XIII secolo, troviamo termini molto più specifici, tra questi spiccano vinea (Vigne di Loreto), campus con i relativi diminutivi (Campo di Cave, il Campo) e pezza che indica un terreno lavorato. Questo fenomeno, legato anche all'aumento demografico e ad una conseguente maggiore lottizzazione, portò anche alla riscoperta di termini legati alla centuriazione romana come quadro, quadrelle (Campo di Quadrelle, Colle delle Quadrelle) e macere (Le Macere di Artena).
Quest'ultimo toponimo deriva dal latino maceriae(10) ed in particolare indicava un sistema di recinzione con muri a secco adottato soprattutto per delimitare i vigneti. Un altro toponimo frequente è canepine (Valle delle Canepine); la coltivazione della canapa, diffusasi tra il X e il XIII secolo, era in genere integrata nell'economia rurale con altre colture come vigneti e uliveti(11) talvolta indicava semplicemente le fosse in cui si lasciavano macerare le fibre della canapa. Il termine pastina (Colle Pastina), citato in un documento del 1311, scoperto a Succomuro, che riportava l'espressione ad pastinandum, indica un terreno da lavorare per poter piantarci un vigneto(12).
Molto diffusi sono anche i toponimi legati ai sistemi di irrigazione e drenaggio come formale e i suoi derivati che indicano delle canalizzazioni o piccoli fossatelli che conducono l'acqua fuori dai campi coltivati(13), e pozzanga, cioè pozzi o vasche scavati nella terra per raccogliere e conservare l'acqua piovana.
La coltura estensiva più diffusa nell'area era il vigneto che poteva trovarsi con tre tipi di associazione: vigna e fichi, vigna e noci, vigna e ulivi(14), molto frequente era anche la cerealicoltura, mentre nei pressi dei paesi e delle aree abitate si trovavano e si trovano tuttora numerosi orti. 




1 - G. Colonna, Preistoria e protostoria nel Lazio, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, Roma 1976, pag. 9.

2 - R. Lanciani, Passeggiate nella campagna romana, trad. it., Roma 1980, pag. 103. ;

3 - E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Roma 1976; G. Colonna, idem, pag. 10. 

4 - Plin. N.H. XIX, 27, cfr insediamento pag 22.

5 - P. Toubert, Les structures du Latium medieval, Paris 1973,1. pagg. 206, 210.

6 - S. Conti, Territorio e termini geografici dialettali, Roma 1984. 

7 - S. Conti, idem

8 - Formazione delle città del Lazio in D Arch 2, (1980).

9 - P. Toubert,idem pag. 264-267. 

10 - F. Castagnoli, Ricerche sui resti della centuriazione, Roma 1958, pag. 26; cfr pag. 21.

11 - P. Toubert, Les Structures du Latium medieval, Paris 1973, pag. 218.

12 - S. Conti, Territorio e termini geografici dialettali, Roma 1984.

13 - La tavoletta presenta un certo numero di questi termini: Formale Nuovo, Formalicchi, Formaletavole, Forma la mura.

14 - P. Toubert. Les structures du Latium medieval, Paris 1973, pag. 358-359.

Fauna

Riguardo la fauna, circa 1.300.000 anni fa, durante il Paleolitico medio nel Lazio vivevano animali come il rinoceronte, l'elefante, l'ippopotamo, che scomparvero circa 70.000-60.000 anni fa durante il periodo interglaciale di Riss-Würm, come dimostrano i ritrovamenti paleontologici.

Gli animali selvatici erano piuttosto rari eccetto il lupo, l'orso sulle montagne più alte e la lince, mentre le macchie offrivano rifugio a caprioli e cinghiali(1).

Grazie ai rinvenimenti osteologici possiamo constatare che soprattutto durante l'età protostorica nel Lazio veniva consumata in prevalenza carne suina che, ricca di proteine e grassi, integrava l'insufficiente dieta a base di cereali e legumi.

Seguono nell'ordine d'importanza gli ovini e i caprini; mentre l'uso di carni bovine doveva essere rarissimo.

Ciò è dimostrato dal fatto che vi è un solo caso in cui è attestato l'uso di tale carne durante il pasto funebre; del resto la legge romana interdiceva l'uso di carne bovina ed equina per proteggere i buoi(2) utilizzati nel lavoro di aratura e traino, e i cavalli, il cui impiego come animale da tiro, oltre che da trasporto, è attestato fin dal VI secolo a.C. L'allevamento di ovini, caprini, bovini, equini ed animali da cortile in genere continuò durante tutto il Medioevo, inoltre era molto diffusa anche la caccia come sembrano confermare alcuni toponimi come forse Valle Varina, derivato probabilmente dal termine varano cioè luogo dove era consentita la caccia(3).

Anche il termine Cacciata si riconnette all'attività venatoria ed indica delle zone particolarmente ricche di vegetazione e rifugio di fauna stanziale o di passaggio, il toponimo riporta ad una situazione di paesaggio ormai non più esistente. 




1 - G. Colonna, Preistoria protostoria nei Lazio, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, Roma 1976, pag. 6. 

2 - Formazione delle città nel Lazio, in D Arch 2 (1980) pag. 35.

3 - S. Conti, Territorio e termini geografici dialettali, Roma 1984.

Protostoria

Il Lazio fin dalle epoche più antiche è stato meta o luogo di passaggio di rotte che interessavano tutta l'Italia centro tirrenica, ampiamente praticate e codificate dall'uso nell'età del bronzo(1).
Capanne o piccoli villaggi erano disseminati su una vasta area prediligendo luoghi dove le condizioni di vita erano più favorevoli. In questo senso la superficie presa in esame era particolarmente adatta, e inoltre la sua ubicazione era strategicamente importante poiché poneva in comunicazione la valle del Sacco e del Liri e la valle dell'Amene. E' strano però trovare scarse attestazioni della cultura del bronzo e della prima età del ferro nell'area prenestina; una delle poche testimonianze viene riportata in Notizie scavi del 1900 da A. Pasqui e riguarda la scoperta di tre grandi incavi circolari identificati come fondi di capanne nella località denominata
Le Colombelle e la presenza nei dintorni di Praeneste di sepolture della prima età del ferro.
Queste ultime, disposte in piccoli gruppi su alture o pianori, rispecchiano l'esistenza di diverse piccole comunità di agricoltori che solo successivamente si organizzeranno in un unico centro. Infatti la conformazione dell'altura su cui sorge l'attuale Palestrina diverge dai canoni tipici degli insediamenti protostorici laziali(2). Valmontone, Labico e Cave non presentano assolutamente tracce di insediamenti protostorici, ma occorre considerare che le suddette località non sono mai state oggetto di studi accurati o di sondaggi di scavo.
La caratteristiche morfologiche delle alture su cui sorgono questi paesi rispondono comunque a precisi requisiti come: la facile difendibilità, l'essere aree dominanti ed avere nelle vicinanze la presenza dell'acqua, necessari per determinare la scelta di una zona su cui fondare uno o più villaggi formati da gruppi familiari uniti da interessi economici e di difesa.
Comunque, alcuni reperti protostorici, costituiti da frammenti ceramici e qualche silex lavorato, sono stati rinvenuti all'interno della tavoletta (U.T. 54, 107,) e in località ad essa limitrofe(3).
Tutto ciò dimostra la presenza umana fin da età molto remote, infatti rispetto alle attuali condizioni, il territorio preso in esame, molto più ricco di corsi d'acqua, come è stato precedentemente dimostrato, e fertile, era favorevole ad un processo di antropizzazione.
Tra la fine del IX secolo a.C. e l'inizio dell' VIII a.C. la campagna romana registrò un vero boom demografico probabilmente dovuto allo sviluppo agricolo. 




1 - G. Colonna, Preistoria e protostoria nel Lazio, in Popoli e civiltà dell'Italia antica. Roma 1976, pag. 11. 

2 - Le città degli Etruschi Firenze 1991, op. cit., pag. 169-170. 

3 - Tivoli, Monte Guadagnolo; Colle della Mola presso la Doganella.

Viabilità protostorica

La via Latina, contrariamente alle altre strade, ha un nome che non indica né una località terminale, né il costruttore, ma piuttosto sembra indicare il suo passaggio attraverso il Lazio; proprio per questa sua caratteristica e per la sua importanza come collegamento tra la valle del Tevere e l'Etruria con la valle del Sacco e la Campania, il suo percorso doveva essere in uso fin da epoche molto remote.
Ne sono prova i rinvenimenti protostorici, in gran parte risalenti all'età del bronzo finale e alla prima età del ferro, avvenuti in aree che sicuramente usufruivano di questo percorso come i monti Albani e Tuscolani(1). Oggi è impossibile trovare tracce di vie protostoriche anche perché questi percorsi, consolidati dall'uso, furono adottati e poi lastricati in età storica.
Dai monti Prenestini, verso occidente scendevano le vie di transumanza verso i pascoli a valle fino al mare, forse lungo l'attuale tracciato della via Olmata e di Marciliana, le più dirette in questa direzione. 




1 - Carta archeologica del Lazio antico di L. Quilici aggiornata al 1977.

Presenze e collegamenti di età protostorica


Viabilità protostorica

Età orientalizzante e arcaica

Un'ulteriore crescita demografica nella campagna romana si ebbe durante il VII secolo a.C. e l'età arcaica dove raggiunse un livello tale che solo in età imperiale sarà superato. L'area presa in esame(vedi immagine), era circondata da popoli di origine e stirpe diversa; gli abitanti locali erano i Prenestini e gli Albani, di origine latina, ma Equi, Ernici, Volsci ed Etruschi per motivi commerciali percorrevano le sue strade. Equi ed Ernici costituivano lo strato più antico degli Italici, questi ultimi al tempo dei Tarquini erano una federazione e possedevano le città di Anagni, Alatri, Veroli e Ferentino(1).
I Volsci provenivano dalla conca del Fucino, ma in seguito ad una migrazione avvenuta durante il VI secolo a.C. si erano stanziati nella grande piana che dai monti Lepini scende fino al mare, attirati dalla ricerca di nuove terre coltivabili provocando l'indebolimento della potenza etrusca(2).
Intorno al V secolo a.C. il territorio oggetto di questo studio era quasi totalmente occupato dall'ager prenestinus che si estendeva ben oltre i confini della tavoletta 150 II N.E. Secondo lo Sbardella(3)
la zona di influenza di Praeneste confinava ad Sud Est con le città di Capitulum Ernicorum (Piglio) e Anagnia (Anagni) degli Ernici, a Sud con i Volsci, con i Tolerini e con le città latine di BoIa, Algidum e il primo Labici, a nord con Tibur e le cittadine eque di Aefulae e con un altro centro identificabile con l'odierna Bellegra. Le origini di Praeneste(4) dovevano essere certamente molto antiche come si deduce dalla presenza di mura di tipo pelasgico; secondo il Cecconi la sua fondazione risalirebbe al 1500 a.C., altri autori invece abbassano la datazione al XII secolo a.C., come dimostra il ritrovamento di un'ascia ad alette che testimonia la presenza di rari gruppi durante il primo periodo dell'età del Bronzo Finale(5).
I rinvenimenti ceramici, però, protendono verso un ulteriore abbassamento della data di fondazione, infatti i reperti più antichi risalgono solamente al tardo IX secolo a.C.(6), mentre un notevole sviluppo, testimoniato dalle espressioni della cultura orientalizzante (Tomba Galeassi, Castellani, Bernardini, Barberini e molte altre i cui corredi sono sparsi tra le varie collezioni), avvenne tra la fine dell'VIII secolo e il VII a. C.(7)
Anche se gli annalisti (Dion. H. V, 61; Diod. VII, 4) affermano la latinità di Praeneste: era infatti ritenuta colonia d'Alba, la sua posizione particolare indusse molti studiosi a metterlo in dubbio, vedendo in essa una matrice equa(8) o etrusca. Il fattore d'influenza etrusca nel Lazio era molto forte sia dal punto di vista architettonico che religioso, Praeneste in particolare con la sua necropoli ne offre una lampante prova, del resto è proprio durante questa dominazione che la città si arricchì sia nelle arti che nell'industria(9).
Forse sarebbe troppo azzardato parlare di un dominio diretto etrusco, ma sicuramente si può affermare l'esistenza di una forte influenza e forse anche la presenza di una minoranza etrusca, essendo uno dei capisaldi per il passaggio verso la valle del Sacco per raggiungere la Campania(10).
Certamente dai corredi tombali si deduce che si trattava di una minoranza dominante che aveva notevolmente mutato le produzioni locali secondo i propri gusti, addirittura si può parlare di una prima influenza ceretana, legata alle tradizioni dell'Etruria marittima, e di una seconda influenza vetuloniese, cioè propria dell'Etruria mineraria. G. Colonna, attraverso lo studio di particolari tipi di fibule a occhiali ha notato un ulteriore legame piuttosto stretto con le culture adriatiche, dal Piceno all'Apulia e con l'Italia meridionale (Sala Consilina e la Basilicata)(11).
Tra la fine del VI e il V secolo a.C., dopo un periodo di relativa stasi legato al tramonto dello stile orientalizzante, il livello qualitativo e quantitativo delle importazioni dall'Etruria tornò a farsi considerevole come attestano numerosi rinvenimenti; in particolare Praeneste si specializzò nel settore delle ciste, degli specchi e degli strigili, toccando l'apice nel IV secolo a.C.(12).
Anche nel campo dell'architettura si è riscontrato un particolare fervore, infatti proprio a questo periodo risalgono i due templi extraurbani, uno dedicato ad Ercole ed uno situato presso la chiesa di S. Rocco forse dedicato al Sole. A Sud di Praeneste sorgevano probabilmente due piccoli centri: forse Boia e Tolerium. La loro presenza in età arcaica viene confermata da Plinio (N.H. III.V 67-70) che enumera i Tolerienses e i Bolani tra le trentacinque popolazioni del Lazio antico che ai suoi tempi erano scomparse. Labico è identificabile con l'antica Boia o Vola, colonia albana, fondata, secondo Virgilio(13), da Latino Silvio, discendente di Ascanio. Tolerium, il cui nome deriva dalla vicinanza del fiume Tolerus, è identificabile con Valmontone. Riguardo alla visione generale del paesaggio arcaico, le testimonianze sono piuttosto scarse, probabilmente il motivo è dovuto al fatto che ci troviamo in un periodo piuttosto movimentato in cui guerre e scorribande delle popolazioni confinanti erano piuttosto frequenti. Tutto ciò non favorì lo sviluppo di piccoli centri agricoli o fattorie. Le poche testimonianze presenti, quasi tutte tardo arcaiche, si trovano per lo più concentrate nell'area a Sud di Labico e la maggior parte sopravvisse anche durante i secoli successivi. 




1 - G. Devoto, Gli antichi Italici, Firenze 1967, pag. 132.

2 - G. Devoto, idem pag. 137.

3 - Sbardella, pag. 17-18. 

4 - Sull'origine del nome Palestrina fin dall'antichità sono state formulate varie ipotesi in parte legate alla fondazione della città stessa. Plinio (N.H. 111,5) e Strabone (V) per esempio credono in un'origine greca e il suo primitivo nome sarebbe stato Polistefane; anche Plutarco (Parali. IV, 41) e Servio (Ad Aen. VII, v.678) affermano la sua origine greca dal termine jtQivoi cioè elei, per l'abbondanza di tali alberi. Festo Catone propendono invece per un termine dovuto invece alla sua particolare posizione elevata: Praeneste dicta est quia is locus, quo condita est montibus praestet; Quia is locus montibus praestet. Solino VIII e Stefano Byzantino ne danno una spiegazione mitica da FlQcaveaTOc;, figlio di Latino, nipote di Ulisse e Circe, mentre Virgilio afferma che il suo fondatore fu Ceculo, figlio di Vulcano e capostipite della gens Cecilia. In documenti più tardi viene nominata Pellestrina, Pillestrina e infine Palestrina (Cecconi, pag.l; O. Marucchi, Guida archologica di Palestrina, Roma 1932).
Il termine Praeneste mostra analogie con altri toponimi per es. Tergeste) legati alla colonizzazione illirica, l'elemento essenziale è dato dal gruppo st definito appunto suffisso illirico. In occidente si trova anche il suffisso rigido in te che aggiunto ai temi in es ha dato vita a este (St. Etruschi (1982) II pag. 267).
La diocesi di Palestrina era una delle sei suburbicane e comprendeva tredici paesi: Zagarolo, Genazzano, Cave, Rocca di Cave, Capranica, Castel S. Pietro. San Vito, Olevano, Pesciano, Lugnano, Serrone Palliano e Gallicano (Cecconi pag. 105). Un'area di circa 250 Kmq che si avvicina molto ai calcoli del Beloch riguardo all'ampiezza del suo territorio.

5 - Le città degli Etruschi, Firenze 1991 pag. 169.

6 - La necropoli di Praeneste, in Atti del II convegno di studi archeologici . Palestrina 1990, pag.13.

7 - Non fu certo un fenomeno isolato, anche Satricum, Decima e Colle dei Morti, nella località' Vivaro ci hanno lasciato testimonianze analoghe.

8 - B.C. Niebuhr Róm. Gesch. II 1830 pag. 650; M. Clason, uno dei continuatori della Histoire romaine di Schwegler, sostiene che Praeneste e Tibur fossero città eque e che la guerra latina, dopo l'invasione gallica, fosse la continuazione della guerra tra Equi e Romani del secolo precedente.
C'è, inoltre, chi ritiene che la fibula del VII secolo a.C. scoperta nella tomba Bernardini sia un esempio di lingua equa; studi più recenti hanno dimostrato che si tratta di una commistione di italico protolatino (Devoto pag. 94), recentemente si è addirittura messa in dubbio la sua autenticità (Guarducci).
Dobbiamo comunque tenere conto della sua posizione cuscinetto tra Roma e gli Equi che può giustificare talvolta l'ambiguità della sua politica oltre ad eventuali strane influenze nella lingua.

9 - A. Alfòldi, Early Rome and the Latins, 1963, pag. 192.

10 - B. Nogara, Gli Etruschi e la loro civiltà, Milano 1933; A. Bariti {Il mondo degli Etruschi, 1960) afferma che le terrecotte trovate a Velletri databili al VI secolo a.C. forse sono opera di coroplasti itineranti, però possono dimostrare una seconda zona di influenza etrusca attraverso la via Latina. Le tombe scoperte su Colle dei Morti (tav. 150, II NO) a pseudo cassone con corredo anche in materiali preziosi ricordano, anche se in modo più modesto, le sepolture principesche della Colombella. 

11 - La necropoli di Praeneste in Atti del II convegno di studi archeologici Palestrina 1990.

12 - G. Colonna in in Atti del II convegno di studi archeologici Palestrinal990. pag. 40-41; cfr pag. 105
13 - Virg. Aen VI, v. 774

L'aria colorata corrisponde all'estensione del territorio prenestino secondo l'ipotesi dello Sbardella.

Viabilità nell'età arcaica

Il territorio prenestino, come è stato già accennato, occupava un'area che rappresentava un'importante via di comunicazione tra la valle dell'Amene e del Tevere e quella del Sacco e del Liri. Usufruiva inoltre di vie di comunicazione naturali di fondo valle rappresentate dalla Latina e dalla Labicana e, inoltre, per la relativa vicinanza al mare ebbe un'importanza strategica e commerciale tanto che c'è chi afferma che Anzio fosse il suo porto(1).
Sicuramente Praeneste, centro importante prima della fondazione di Roma, usufruiva di antichi tracciati per collegarsi alle altre cittadine laziali. Era infatti in contatto con Alba Longa, di cui era ritenuta colonia, inoltre in qualità di città confederata aveva diritto di commercio con le alleate e di partecipare alle adunanze politiche e religiose, in particolare alla festa di luppiter Latiaris sul monte Albano. Secondo Sbardella(2)
la strada più rapida per raggiungere i monti Albani percorreva l'attuale via Olmata(3) e attraverso valle dei Gelsi e la tenuta di Mezza Selva si collegava alla via Latina, fino a raggiungere il secondo Algido (Castel Lariano). Praeneste, come è stato già detto, aveva anche uno sbocco verso il mare attraverso i porti di Anzio e Terracina, ne sono prova i reperti trovati nelle tombe orientalizzanti, legati all'arte fenicia ed egiziana, le anfore di provenienza greca, le numerose iscrizioni arcaiche ed anche le fonti letterarie. Importante è anche sottolineare la presenza del culto della dea Fortuna ad Anzio e Terracina. La via più diretta per raggiungere il mare ricalcava probabilmente lo stesso percorso utilizzato per raggiungere il monte Albano fino all'incrocio con la via Latina per poi unirsi al tracciato ricalcato in seguito dalla via Appia sotto Lanuvio(4).
Forse era lo stesso percorso usato da Coriolano nella sua marcia contro Roma(5).
Un'altra importante via era quella dell'attuale Marciliana che, attraversata la Latina si immetteva nella via Ariana fino a raggiungere Velletri, antica Velitrae. Questa cittadina infatti presenta evidenti tracce di influenza etrusca, probabilmente provenienti proprio dalla stessa Praeneste, mi riferisco in particolare alle lastre fittili rinvenute nell'area della chiesa delle SS. Stimmate, appartenenti alla tradizione decorativa etrusco-laziale della seconda metà del VI secolo a.C. e alla loro sorprendente somiglianza con quelle rinvenute nella località Colombelle. 




1 - F. Coarelli, Lazio, Roma 1982, pag. 123 . efr pag...

2 - Sbardella, pag. 24. 

3 - Così denominata perchè fiancheggiata da olmi fatti piantare nel XVII secolo dai Barberini (Giornale arcadico 1908 pag. 192).

4 - Schede in Bibl. vat.Stevenson Antichità prenestine; anche il Fabretti (De aquis 1788) nella sua mappa segna questa strada come: via in Latinam et Appiani tendens. 

5 - Sbardella pag. 25.


Età repubblicana

Dopo la caduta del regime monarchico avvenuta intorno alla fine del VI secolo a.C, il primo avvenimento di una certa rilevanza che riguarda questo territorio, fu il passaggio di Gneo Marcio detto Coriolano durante la sua marcia contro Roma, avvenuto nel 488 a.C.. Grazie alla precisione dello storico Dionigi di Alicarnasso, è possibile ipotizzare l'ubicazione di alcune delle cittadine conquistate dal condottiero ribelle. Tra queste ricordiamo Tolerium (Valmontone?) che dopo questo episodio non fu più ricostruita, e Bola (Labico?). Questo avvenimento fa parte della guerra scoppiata tra Volsci, alleati con gli Equi e i Romani sostenuti dalle città confederate.
Da allora la regione fu teatro di devastazioni e saccheggi operati dagli Equi a volte alleati con i Volsci; tale situazione spinse le cittadine latine a chiedere l'aiuto di Roma che non nascondeva le sue mire espansionistiche. L'anno successivo, durante il consolato di Tito Sicinio e Caio Aquilio avvenne un'importante battaglia che vide gli Ernici e i Volsci contro i Romani e che si concluse con la vittoria di questi ultimi (Liv. II, 40). Secondo il Tomassetti(1) il luogo in cui avvenne questo conflitto dovrebbe collocarsi all'interno del comune di Cave; tale affermazione si basa sul passo di Dionigi di Alicarnasso (Vili, 65) che pone l'accampamento del console Aquilio nel territorio prenestino a poco più di 200 stadi da Roma (circa 37 Km). La città egemone era comunque Praeneste che, dal monte chiamato Glicestro, in antico detto Arentius dominava un territorio che, secondo i calcoli del Beloch si estendeva per circa 262 Kmq e durante il periodo imperiale aumentò fino a 365 Kmq(2).
Gli studiosi che avevano calcolato o meglio supposto approssimativamente l'estensione dell'ager praenestinus, avevano avuto a disposizione scarse indicazioni fra cui due cippi del IV secolo a.C. trovati nel foro della seconda Praeneste(3).
La città presenta due zone distinte: una a nord-est, calcarea e montuosa che offriva pascoli e boschi, una a sud-ovest di formazione vulcanica ricca di acqua e fertile(4). Purtroppo non abbiamo dati precisi sull'estensione del suo territorio, ma sappiamo da Livio (VI, 29) che aveva otto oppida, alla fine del IV secolo a.C, poi conquistati dai Romani uno dopo l'altro. Tale conquista avvenne nel 380 a. C. ad opera di Tito Quinzio Cincinnato che, dopo aver espugnato le roccheforti prenestine e la città di Velitrae, ottenne la resa della stessa Praeneste.
Queste cittadine, infatti si erano ribellate al dominio di Roma approfittando della discesa dei Galli. Il periodo di relativa stabilità compreso tra il IV e il III secolo a.C. è caratterizzato da importanti cambiamenti sociali: nasce una nuova aristocrazia la cui ricchezza era basata sul commercio, c'è una maggior partecipazione alla vita politica, l'uomo da miles diventa civis. E' un fenomeno generale che riguarda città importanti e centri minori. Nell'82 a.C. Praeneste fu coinvolta nella guerra civile tra Silla e Mario il giovane, infatti la sua posizione era strategicamente importante poiché rappresentava la chiave che separava l'Appennino dai colli Albani, dominava le vie Labicana e Prenestina ed era stata devota al partito popolare. Mario sconfitto nella battaglia di Sacriporto si ritirò nella città pronto a resistere con 1500 uomini, ma saputo della disfatta dei suoi partigiani si uccise in un sotterraneo.
La repressione di Silla (App. Bell. Civ. I, 397-439) contro i Prenestini fu esemplare, egli trucidò la maggior parte degli uomini risparmiando le donne e i bambini, ciò è dimostrato anche dalle iscrizioni nelle quali si riscontra un totale cambiamento dei nomi negli anni successivi. Praeneste, divenuta colonia militare, subì una nuova parcellizzazione delle sue terre. I nuovi coloni, la maggior parte ex militari, ricevettero appezzamenti di terreno inalienabili per una disposizione della legge agraria di Tiberio Gracco che aveva lo scopo di impedire la formazione di grandi proprietà. Molti veterani, però, non avendo alcun interesse alla coltivazione della terra, la vendettero e così in poco tempo si formarono numerosi latifondi. Cicerone, console nel 63 a.C, ricorda nel De lege agraria (II, 78) che sebbene Silla avesse diviso il territorio prenestino soltanto 18 anni prima con l'assegnazione di un solo iugero per colono, già ai suoi tempi i ricchi avevano acquistato le porzioni dei poveri (..at videmus ut longinqua mittamus agrum praenestinum a paucis possideri.). Il territorio prenestino era considerato molto fertile (App.De Bell. civ. I, 127 ss.): produceva grano (Mart. IV, 51), viti da cui si ricavava un ottimo vino (Mart. IX, 37; Ath. Deipn. I, 15) rinomato sino ai tempi del poeta bizantino Giovanni Geometra (Carmina) e cipolle (PI. N.H. XIX, 27). Plinio (N.H. XIX, 5, 12) e Marziale (Mart. IX, 6) ci tramandano che in questa campagna nascevano rose molto apprezzate per il colore vivo e per la loro fragranza(5).
Rinomate erano anche le noci prenestine (CatoneDe re rust. 8; PI. N.H. XV, 90). Il Cecconi(6) afferma che nel bosco di Mezza Selva, durante l'età classica, abbondavano alberi di noce di ottima qualità tanto che si era formato un villaggio di raccoglitori di noci. Infatti Servio scrisse che ai tempi di Varrone vi erano presso Praeneste alcuni uomini chiamati Carsitani, dal vocabolo grecocarya che significa noce, riferendosi a quelli che vivevano del commercio e del consumo delle noci(7).
Alcuni hanno addirittura supposto che da quest'antico ricordo derivi il nome del moderno paesello di Carchitti(8).
La visione del paesaggio in età repubblicana cambia notevolmente, scongiurato ormai ogni pericolo di guerra, un territorio così fertile e poco lontano da Roma e inoltre ben collegato, favorì lo sviluppo di numerose ville rustiche e non. Alcune si svilupparono su insediamenti preesistenti garantendone una continuità che in alcuni casi si prolungò fino all'età imperiale . In particolare la villa di colle del Rapiglio, presenta una serie di classi ceramiche che vanno dalla prima età repubblicana fino al V secolo d. C. Insieme alla villa rustica di colle Quadri, la villa della Cacciata e di colle S. Agapito rappresentano una prima fase di occupazione avvenuta tra il V e il IV secolo a.C. Una seconda fase avvenne tra il III e il II secolo a.C, ma in particolare è quest'ultimo che registra un maggior numero di fondazioni (U.T. 46). Si tratta comunque, da quel poco che si riesce ad intuire, di ville rustiche di dimensioni non esagerate a causa della notevole densità di popolamento. Cameristica comune delle ville di II secolo, ma anche delle epoche successive, è la tendenza ad organizzarsi con articolazione assiale, in forme architettoniche compatte a blocco(9).
La documentazione maggiore proviene dall'area occidentale della tavoletta ancora scarsamente urbanizzata, che presenta su quasi ogni collina materiale archeologico. Una terza fase edilizia è rappresentata dalle ville tardo repubblicane, di cui sono visibili notevoli esemplari come nel caso di Palazzola, di Vallevina (U.T. 62) e di Colle S. Agapito che probabilmente in questo periodo subì una nuova sistemazione generale i cui resti sono tuttora visibili. La tarda repubblica rappresenta un periodo di passaggio tra la villa rustica e i primi esempi di villa urbana con peristilio e nuclei distinti e sparsi(10).
La maggior parte di queste ville in genere ha una fase di occupazione che si prolunga durante l'età imperiale. Un caso particolare è rappresentato dall'area sacra situata presso la località Macere la cui datazione si estende dal IV secolo a.C. al IV d.C. e testimoniata da materiali votivi di terracotta rappresentanti mani, piedi, alcune testine o mezze teste maschili velate di fattura dozzinale.





1 - G. Tomassetti,, III, pag. 606.

2 - L. Pareti, Storia di Roma e del mondo romano, Torino 1953, pag. 617.

3 - Sbardella, pag. 16 . 

4 - Van Deman-Magoffin, A study of the topography and municipal history of Praeneste, Baltimora 1908, pag. 9 . 

5 - C'era una fiorente industria profumiera per la presenza delle rose, ma anche dall'iris si estraeva una delicato profumo molto rinomato (L. Bandiera, Praeneste economia e territorio, Roma 1975, pag. 22).

6 - Cecconi, pag. 133.

7 - Servio Gramm. apud Macr. III, 18 Est autem natio hominum, juxta praenestinum agrum, qui Carsitani... 

8 - Sbardella, pag. 55, nota 3.. 

9 - H. Mielsch, , La villa romana, Firenze 1990, op. cit. pag.47. 

10 - H. Mielsch, , La villa romana, Firenze 1990, pag.47. 


Età imperiale

Per la sua vicinanza con Roma e le buone condizioni climatiche Praeneste divenne un luogo di villeggiatura e di ritrovo della società elegante romana (Ann. Flor. I, 2). Nell'ager prenestinus possedevano ville noti personaggi come A. Gellio (Noct. Att. XI,31), Centronio (Iuv.Sat. XVI, 86), Flavio Sulpiciano, suocero dell'imperatore Pertinace, Flavia Febe, Orazio (Ep. I, 2), Plinio il giovane (Ep. ad Apollinarem)(1), il prefetto Cesonio, Pupulio Rege, amico di Cicerone, della gens Marcia (C.I.L. XIV, 2938; Orazio I sat. 7; identificabile presso la località La Marciliana come indica il prediale) ed altri di cui il tempo ha cancellato il ricordo.

Alcuni autori antichi come Marziale (X, 30), Silio Italico (XII, 536) e Simmaco (Ep. ad Eutr. III, 50) nominano esplicitamente un Algido prenestino come luogo in cui sorgevano ville. La scoperta a Mezza Selva dei resti di una tubatura plumbea con l'iscrizione: NICEPHOR FL. SULPICIANI SER. FEC.(2), spinse molti studiosi a collocare in quest'area la villa di Flavio Sulpiciano, forse la stessa che fu abitata da Aurelio Simmaco (Ep. ad Eutr. III, 50)(3).

Un documento risalente alla metà del V secolo che riguarda una donazione da parte di papa Silvestro I scolpita nella cosiddetta lapide Celimontana, in cui è riportato un elenco di fondi appare un fundus Caesarianus via Praenestina p.m. XXX(4).
Secondo lo Sbardella si tratta del suddetto fondo situato a Mezza Selva, ma questa supposizione indica un'area troppo fuori mano rispetto alla via Prenestina, è più probabile che il passo si riferisca al XXX miglio lungo il suo proseguimento oltre Palestrina. In questo caso la villa sarebbe collocabile presso il confine comunale tra Cave e Genazzano, area comunque archeologicamente interessante. E' difficile stabilire se il termine Algido prenestino, identificabile con l'area di Mezza Selva, avesse questo attributo perché apparteneva veramente all'area di influenza di Praeneste o soltanto perché era rivolta verso questa città che era appunto la più importante della zona, per distinguersi semplicemente dai monti algidensi rivolti verso Velletri(5).
Anche gli imperatori possedevano una villa a Praeneste. Svetonio (Vite dei Cesari, Augusto), infatti, ci tramanda che Augusto raggiungeva la città in lettiga impiegandoci due giorni e che Tiberio in questi luoghi guarì da una grave malattia (A. Gell. Noct. Att. XVI, 13 ...in eorum finibus sub ipso oppido a capitali morbo revaluisset). Proprio in seguito a questo avvenimento, per motivi politici e per ridistribuire il territorio, nel 17 d. C. Tiberio riportò Praeneste allo stato di municipio. In questo periodo abbiamo un'importante testimonianza riguardo alla parcellizzazione del territorio fornitaci da Frontino nel De Coloniis: Praeneste oppidum, ager eius a quinque viris pro parte in iugeribus assignatus est, ubi cultura est, ceterum inabsoluto est relictus circa montes Inter populos non debetur. Dunque questo territorio così fertile, oltre ad ospitare grandi ville, con relativi appezzamenti di terreno, comprendeva certamente proprietà più modeste. Purtroppo oggi la continua espansione del paese verso ovest ha cancellato molte di questo genere di tracce e neppure le fotografie aeree disponibili sono state in grado di cogliere questo tipo di dati. Tuttavia è nella toponomastica che troviamo qualche indizio abbastanza sicuro. I toponimi Campo di Quadrelle e le Quadrelle(6) indicano una parcellizzazione del terreno, si tratta di termini già esistenti fin dall' XI secolo, bisognerebbe stabilire se si riferiscono a parcellizzazioni avvenute in età classica o durante il Medioevo.
Durante la prima e media età imperiale il numero delle ville aumentò e con esso anche quello dei latifondi, mentre la scarsità della manodopera servile spinse i grandi proprietari terrieri ad affidare le proprie terre a mezzadri o liberi coloni. Il paesaggio di età imperiale si presenta particolarmente denso di siti disseminati in modo abbastanza omogeneo; alcune ville (U.T. 9, 46, 62, 89, 109,) fondate in età repubblicana continuano a sopravvivere, altre vengono fondate ex novo (U.T. 52, 68,). Le ville rustiche si fanno sempre più rare e si diffonde sempre più la tendenza a sperimentare nuove forme architettoniche fin dalla seconda metà del I secolo d.C. (Domus Aurea, villa di Nerone a Subiaco, villa di Domiziano ad Albano....), toccando poi la punta massima nella prima metà del II secolo d.C. con esemplari come villa Adriana a Tivoli. Si tratta in genere divillae urbanae assolutamente prive di organizzazione assiale e di ambienti centralizzati(7).
La villa imperiale, nata in età augustea, subì diverse modifiche proprio in età flavia adeguandosi ai modelli vigenti e sperimentandone dei nuovi. La grande crisi politica del III secolo ebbe naturalmente ripercussioni anche sull'architettura delle ville che subisce una stasi quasi completa, soltanto al tempo dei tetrarchi, nonostante le limitate conoscenze che si hanno del periodo, si segnalano nuove ville o ristrutturazioni di complessi esistenti(8).




1 - Secondo il Cecconi (pag. 86) l'area della villa è identificabile con la località Formale di muro dove sorgevano antiche rovine con stanze lastricate di mosaico vaghissimamente disegnato e cunicoli per convogliare le acque. 

2 - C I L XIV 2838. 

3 - Sbardella, pag. 41.

4 - G. M. Suaresio, Praeneste antiqua libri duo, Roma 1655 pag. 20; Sbardella pag. 47.

5 - Secondo il Tomassetti (Giornale araldico 1908-1910) e lo Sbardella (Il Lazio primitivo e l'ager prenestinus, pag. 22) il secondo Algidum è sicuramente quello prenestino situato su monte Castellacelo, luogo che dominava la via Latina proprio presso l'area chiamata Cava di Mezza Selva o dell'Aglio. Neil' Instrumentum emptionis Praenestinae civitatis, Roma 1630, p.28 si legge: Castrimi Algidum vulgo nuncupatum Aglieri... hospitìo eiusdem castri hosteria di Mezza Selva nuncupato. LAlgidum più antico invece si trovava presso Castel di Lariano ed era occupato dai Volsci.

6 - Quadro:appezzamento agricolo, divisione della centuria quadrata usata gromatici latini. E' uno dei termini caratteristici del paesaggio laziale. S. Conti, Territorio e termini geografici dialettali,.RM 1984 

7 - H. Mielsch, La villa romana, Firenze 1990, pag. 60-84. 

8 - H. Mielsch, idem, pag. 85. 

Proseguimento della via Prenestina detta anche via Pedemontana o Trebana

La via Prenestina(1) veniva così chiamata perché conduceva all'antica Praeneste, ma come la via Labicana non si fermava alla cittadina da cui aveva preso il nome, ma proseguiva. Secondo l'Itinerarium Antonini conduceva a Compitum Anagninum dove si immetteva nella via Latina. Il Cecconi(2) nel XVIII secolo descrive il percorso di questa via che, dopo aver attraversato il braccio della Labicana che conduce a Palestrina (l'Olmata) tronca nel mezzo l'antico sito della città, e continua il suo corso per le vigne, e scoprendosi per la strada della chiesa rurale della Madonna delle Grazie, conduce verso il ponte dello Spedalato e le chiese rurali della Madonna del Refugio, e di S. Gordiano, dove proseguendo innanzi andava anticamente a riunirsi coll'altro braccio della via Labicana, e colla via Latina .... Ormai è impossibile cercare di individuare le antiche tracce della via Prenestina nella tavoletta 150 II NE, considerato che il suo presunto percorso oggi è occupato in parte dalla strada asfaltata.
E' però indicativa la presenza di alcune tombe proprio orientate secondo l'attuale strada che porta a Cave. In particolare ci si riferisce al tratto che da ponte dell'Ospedalato giunge fino alla cappella Madonna dei Cori, confine nord orientale della necropoli. Infatti presso questo ponte, un paio di metri a nord est della moderna strada T. Ashby segnala alcuni resti di basolato appartenenti al proseguimento della via Prenestina(3).
Poco oltre, tra l'attuale via e colle S. Agapito, nel 1902 venne alla luce in seguito a lavori pubblici un tratto basolato a poligoni calcarei irregolari che fu immediatamente distrutto, ma iì fatto però fu segnalato alla Soprintendenza archeologica per il Lazio(4).
L'antica strada, giunta all'altezza dell'odierna frazione di S. Bartolomeo, presentava due svincoli verso sud: il primo in direzione colle Palma seguiva più o meno il percorso di via di Vallevina. il secondo ripercorreva l'attuale tracciato della via della Selcia (I.G.M. Selva). Oltre Cave, seguendo le indicazioni della Tabula Peutingeriana, la via percorreva forse per un tratto la vecchia strada, parallela a quella attuale, ma spostata più a ovest, attraverso l'antico ponte dove le sponde del fosso detto Rio tendono ad avvicinarsi, poi, attraversato il paese dove il percorso ormai non è più riconoscibile, passava, probabilmente seguendo l'attuale tracciato (confermato anche dalla presenza dell'U.T. 43), attraverso la contrada Campo Cannetaccia. Questo percorso, che correva nei pressi di una fortificazione detta Castrum Trebanum(5), veniva denominato via Trebana o Triviana proprio perchè conduceva all'antica Treba Augusta, attuale Trevi(6).
La Tabula Peutingeriana (VI, 1), concorde con l'Anonimo Ravennate (IV, 23) e Guido (39), unisce direttamente la via Prenestina con Treba. 




1 - Nel medioevo venne denominata via pedemontana (Radke pag. 117 nota 56).

2 - Cecconi, pag. 20. 

3 - T. Ashby, in PBSR 1902, pag. 215.

4 - Archivio della Soprintendenza arch. per il Lazio: Cave - fase. 010. 

5 - Mariannecci, pag. 4. Della fortificazione, la cui ubicazione non è stata ben specificata, non ho riscontrato traccia.

6 - G. Morin, La basilique dedie a Saint Pierre, in Bull, d'ancienne lit. at arch. chretienne 1911.


Via della Selva

La denominazione via della Selva è una chiara corruzione del precedente nome via della Selcia(1) derivato probabilmente dalla presenza di basoli di cui ancora oggi se ne possono vedere alcuni, ormai divelti dalla loro originaria giacitura in più punti ai margini dell'attuale strada e all'interno di qualche villa privata. I basoli sono di pietra calcarea chiara simili a quelli rinvenuti nel tratto di strada che collega Valmontone ad Artena. L'uso di un differente tipo di pietra potrebbe essere giustificato dalla presenza in quest'area di questo tipo di calcare diffuso sui monti di Cave, ma potrebbe anche avere un significato diverso come delimitare un'area destinata alla centuriazione o sotto la tutela di una determinata amministrazione(2).
Nel 1923 furono praticati alcuni scavi lungo la via comunale della Selcia che portarono alla luce il piano di un'antica strada(3).
Purtroppo il punto preciso non era indicato nella documentazione della Soprintendenza, ma è importante per provare ulteriormente la presenza effettiva di tale strada. Altri basoli non in situ sono visibili presso colle Tesoro. La zona di S.Ilario prima di essere trasformata in un luogo di culto cristiano era un'area sacra dedicata alla dea Diana che proprio nella sua attribuzione Trivia era posta a protezione dei trivi(4).
Questo tracciato viario, molto importante come collegamento con la via Prenestina, insieme con la via Labicana e la via Latina formava proprio un trivio presso la statio Ad Bivium(5).
Lo stesso Ashby vide sul colle di S. Ilario un diverticolo che si dirigeva verso est(6), forse proprio il punto in cui la via della Selcia si immetteva nella via Labicana.
Era un tracciato probabilmente già in uso in età protostorica come collegamento più diretto tra l'area del monti Prenestini e la valle del Sacco(7).





1 - N. Mariannecci, pag. 3; cartina comunale di Cave.

2 - L. Quilici, La via Latina e l'organizzazione del territorio attorno alla Civita di Artena, in Atti per il 50° anniversario dell'Accademia Belgica 1991, pag. 207.

3 - Archivio della Sopr. arch. per il Lazio: Cave - fase. 012. 

4 - A. Luttazzi, La catacomba di S. Ilario, Colleferro 1984, pag. 17 nota 34.

5 - Come si giustifica allora il termine Ad Bivium con la chiara presenza di un trivio? Tale denominazione appare in un documento piuttosto generico di età tardo antica come la Tabula Peutingeriana e forse il diverticolo della via Prenestina rappresentato dalla via della Selcia era caduto in disuso a favore di quello che collega a Compitimi già all'epoca di Caracalla quando venne redatto l'Itinerarium.
Oppure più semplicemente, Ad Bivium era in realtà un trivio, ma essendo la terza via soltanto un diverticolo rispetto a due importanti arterie come la via Latina e Labicana è stata trascurata.
6 - T. Ashby, in PBSR 1902 parg. 279.

7 - A.A.V.V. Archeologia medievale nel Lazio. L'insediamento di Castro dei Volsci, II edizione pag. 17 -19 tav. 2.


Strada di San Bartolomeo Colle Palme o via di Vallevina

Nel 1950 durante i lavori per costruire la via che collega S. Bartolomeo a colle Palma furono rinvenuti i resti di un'antica strada in poligoni di calcare che si dipartiva in direzione Sud Ovest dalla via Prenestina e all'incirca seguiva il tracciato della via odierna. I poligoni in parte furono rimossi e in parte erano visibili in sezione sul lato sinistro della strada(1).
Purtroppo la segnalazione non riporta l'esatta ubicazione del rinvenimento di cui oggi non resta alcuna traccia.
Come si può osservare (vedi immagine) in cui viene mostrato un particolare della foto aerea si notano tra i campi le tracce di una strada con andamento est ovest e con un tracciato più regolare di quello attuale. Si tratta sicuramente di un tratto dell'antica via che passava per Vallevina.





1 - Sopr. arch. per il Lazio, archivio depositi Cave, fase. 004.

Quadro generale della viabilità


Strada di San Bartolomeo Colle Palme o via di Vallevina

Quadro generale della viabilità

Centurazione del territorio prenestino

Come è stato già precedentemente accennato l'ager praenestinus è stato oggetto di più divisioni agrarie attraverso i secoli: la prima avvenne dopo la colonizzazione sillana (Cic. De lege agraria II, 78),
la seconda durante l'impero di Tiberio (Liber Coloniarum). Il Mommsen ipotizzò una terza centuriazione durante l'età di Cesare, ma nessuna fonte ricorda un simile episodio(1).
Il passo di Cicerone ricorda semplicemente che dopo circa venti anni dalla ripartizione sillana l'ager era già nelle mani di pochi latifondisti, ma più interessante il secondo passo, quello del Liber Coloniarum in cui si parla di assegnazione per iugeri delle aree coltivabili escludendo la parte montuosa del territorio. Un recente studio effettuato dalla dottoressa Muzzioli riguardo questo argomento(2) pone come asse della centuriazione la via dell'Olmata su cui si installa un sistema di partizione costituito da un reticolo di centurie regolari di 710 metri di lato, cioè 20 actus. L'area interessata è quella nord-nord ovest dell'Olmata considerata la parte più fertile e morfologicamente più omogenea.
Le tracce della centuriazione sono rappresentati da vari tratti stradali, fossati, confini comunali e filari di alberi paralleli o perpendicolari alla linea dell'Olmata. Con questo metodo sono state ricostruite ben 115 centurie(vedi immagine) escludendo però la zona a sud dell'asse che non presenta evidenti tracce almeno secondo questo tipo di orientamento. E' da segnalare però che nell'area chiamata Quadrelle si può notare dalla tavoletta I.G.M. una serie di tracciati che uniti insieme formano una centuria di circa 710 metri di lato.
Purtroppo tranne le tre antiche vie di Marcigliana, di Valmontone e di Vallevina che attraversano perpendicolarmente questo possibile sistema, sono veramente poche le linee di confine, i fratturi, e i limiti che potrebbero contribuire a creare delle basi solide per un eventuale sistema di parcellizzazione.
Inoltre l'area ad ovest di Praeneste, pur essendo altrettanto fertile presenta una serie di inconvenienti come l'area della necropoli e della villa imperiale ad est e le tre vallate fluviali che attraversano da est ad ovest questa zona del territorio prenestino e che forse però grazie proprio al loro andamento potevano contribuire ad una naturale suddivisione in senso est-ovest. 




1 - Th. Mommsen, Ròmisches Staasrecht II, 1, Leipzig 1887, pag. 628 n. 41. 

2 - M.P. Muzzioli, Divisioni agrarie nei territorio di Praeneste, in Archeologia Laziale XI. 2, 1992, pag. 209-212.


Centurazione del territorio prenestino

Sfruttamento delle risorse idriche

Come è stato già precedentemente detto l'area presa in esame era ricca di risorse idriche sfruttate fin dall'antichità. Nella tavoletta purtroppo sono riconoscibili chiaramente solo due grandi acquedotti. Il primo, di cui ne resta un tratto sotterraneo presso il fontanile di Bocca Piana si dirigeva verso colle della Noce passando presso la località Gli Archi, dove agli inizi del secolo erano ancora visibili alcuni resti appartenenti alle sue arcate.
Una parte del suo percorso è stato tracciata dall'Ashby(1) che fa terminare il tratto a sud est del fontanile, oltre l'attuale strada. E' proprio presso Bocca Piana che fu rinvenuta un'epigrafe che indica la presenza di un impianto termale, situazione probabile per la facilità dell' approvvigionamento idrico.(vedi immagine).
Il secondo acquedotto passava per la località.
Gli Archi (U.T. 87) dove ne resta un tratto ancora in buone condizioni e si dirigeva verso ovest attraversando la collina sovrastante da cui probabilmente usciva nella località chiamata Acqua di Maggio.
L'acqua che trasportava è la stessa che oggi viene adoperata a Valmontone e proveniva dal comune di Cave. Si racconta infatti che i Cavesielli cedettero a Valmontone quel piccolo tratto di territorio, in cambio della campana per la chiesa parrocchiale per permettere al paese di arricchire il suo scarso approvvigionamento idrico. Il suo percorso sembra dirigersi verso colle della Strada, presso la cisterna chiamata grotta Mamea, la cui ubicazione è posta in un'area piuttosto depressa rispetto al luogo dove si trovano i resti della villa e quindi aveva bisogno di una maggior pressione per rifornirla.
Un'altra rete idrica era costituita da un lungo cunicolo sotterraneo con andamento est ovest, che dalle montagne sovrastanti scendeva attraverso colle S. Agapito.
Durante il secolo scorso un sacerdote fece costruire un fontanile lungo la strada che conduce a Cave, presso la vecchia chiesa di S. Gordiano, al fine di utilizzare l'acqua che sgorgava abbondante. Ancora nei primi decenni del Novecento il cunicolo riforniva d'acqua la proprietà Finzi posta sul suo percorso.
Un'altra forma di approvvigionamento molto diffusa fin dal VI secolo a.C.(2), era rappresentata dalle cisterne o dallo sfruttamento di vicine sorgenti.
Alla prima categoria appartengono numerose costruzioni che sorgono in posizioni sovrastanti rispetto alle ville per permettere all'acqua, raccoltasi durante le piogge, di raggiungere per caduta le cucine o le terme o qualunque altra parte.
Le dimensioni delle cisterne erano variabili in funzione della loro destinazione e della grandezza della villa. Una buona parte delle unità topografiche presenti nella tavoletta corrispondono proprio a questo tipo di edifici come la ( U.T. 7, 39, 46, 57, 58, 65, 88).
Legate invece allo sfruttamento delle sorgenti naturali sono le unità topografiche: (U.T. 62), in cui il ninfeo sottostante è alimentato da una sorgente coadiuvata anche da una grande cisterna; (U.T. 53) dove un imponente ninfeo è alimentato da una sorgente attraverso una serie di cunicoli scavati nel tufo e tutta una serie di cunicoli scavati per il trasporto o lo scolo delle acque (U.T. 10) di cui buona parte sono tuttora attivi.
Un caso particolare è rappresentato dalla villa imperiale che ha lasciato notevoli testimonianze legate allo sfruttamento idrico: oltre al rinvenimento di numerosi tubuli di piombo nei secoli passati, sotto in cimitero si trova una costruzione identificata come un piccolo ninfeo, inoltre poco più a est ci sono i resti di un'enorme vasca rotonda, in passato chiamata irolo, corruzione di idrolo, interpretata dal Cecconi come una peschiera.





1 - T.Ashbv, in PBSR 1902, tav. VI.

2 - J.P. Adam, L'arte di costruire presso i romani, Milano 1990, pag. 257.


Sfruttamento delle risorse idriche

Il Medioevo

Purtroppo le notizie storiche dell'età compresa tra il tardo impero e l'alto medio evo, fino al X secolo circa sono piuttosto scarse. E' noto che dal VI all'VIII secolo la campagna romana con le sue grandi ville e gli estesi latifondi, benché decaduta, continuò ad essere popolata e coltivata(1).

Un importante documento della prima metà dell'VIII secolo: la Notitia fundorum iuris titilli S. Joannis et Pauli marmorihus insculpta cum diplomate Graegoris Secundi menziona vari fondi Prenestini, ma, di particolare importanza per l'area presa in esame, spiccano fundum Casaluci identificabile chiaramente con Colle Casalupi, fundum Longoienianum mikron et meta e un fondo Casa maior, identificabili rispettivamente con Labico e Valmontone, appartenenti al patrimonio labicano, ma situati in territorio prenestino(2).
Cosa che non accade per Mezza Selva che in un documento risalente al 715: una donazione di un uliveto alla basilica Vaticana da parte di papa Gregorio II, viene collocata in patrimonio Lavicanense(3), ma non nel territorio prenestino, segno che l'area di influenza di Praeneste stava diminuendo. Anche il territorio di Cave è stato sempre interessato dalla presenza umana fin dall'alto medioevo, come testimoniano i due cenobi benedettini(4) di S. Stefano e S. Sabino (U.T. 52, 50 ) e di S. Lorenzo (U.T. 45).
Attorno alla metà dell'VIII secolo a causa delle invasioni longobarde l'agricoltura della campagna romana attraversò un periodo di crisi e abbandono e avvenne uno spostamento di residenza conservando in vita o facendo rivivere le ville e i villaggi posti in luoghi alti e salubri.
Come se non bastasse, il territorio laziale fino a Segni e Palestrina attorno alla metà del IX secolo fu oggetto di saccheggio da parte dei Saraceni come riporta il Regesto Sublacense. Durante questo stesso secolo e quello successivo il Fundum Longoienianum e Casa Maior risultano appartenenti alla famiglia dei Conti Tuscolani(5), discendenti dei Conti di Segni, successivi eredi di tali possedimenti. Attorno al X secolo, grazie ai documenti notarili, troviamo notizie più concrete dell'occupazione del suolo: la grandi unità feudali tendono ad incorporare ogni piccolo centro recente e ancora inorganico di colonizzazione agraria.
Questo fenomeno è da ricollegarsi alla riconquista agraria e al conseguente aumento demografico(6). Appaiono e si diffondono termini come massae, coloniae, casae e casalia, probabilmente già presenti nei secoli immediatamente precedenti, ma solo ora consolidati e sicuri. Particolarmente diffuso in questa tavoletta è il termina casale(7) che indica una serie di fabbricati contigui e difesi da un muro di cinta, a differenza del casale moderno (XIV-XV secolo) costituito da una costruzione isolata a pianta rettangolare o quadrata (Casale Angelucci). In un importante documento che risale al 970 e riguarda una donazione da parte di Gregorio XIII a sua figlia Stefania vengono menzionati i nuovi confini del territorio di Palestrina; eccone i punti più importanti: Locatio Praenestinae civitatis: Joannes XIII servus.. in dominio filiae Stephaniae, clarissima senatrici...concedimus atque tradedimus... civitatem Praenestinam cum omnibus pertinentis ... id est Rivus qui appellatur Latus, a secundo Lavicana et a tertio latere monticello de Maximo et a quinto aqua Alta..a sexto vallis de Camporatie a septimo mons de Folianu(8).... Entro questi termini erano compresi i paesi di Zagarolo, Gallicano, Cave, Genazzano ed altre terre fin verso Subiaco, mentre i comuni di Valmontone e Labico ne rappresentavano i confini meridionali. Un altro fondo che apparteneva al territorio di Palestrina era chiamato Spatianus (colle Speciano? compreso nel comune di Cave)(9). Questa è la prima notizia di infeudazione dell'attuale paese di Cave(10).
Nel 990 il comprensorio di Palestrina si estendeva per un'area molto simile a quella attuale (5 miglia in larghezza e 6 in lunghezza), comprendeva il paese di Cave e confinava con Zagarolo, Valmontone, Capranica, Rocca di Cave, Poli e Gallicano.
L'XI secolo rappresenta un periodo importante per un nuovo assetto del paesaggio. In un documento riportato dal Regesto Sublacense (n. 173) e datato 1021 si parla di alcuni casali posti in territorio trebanense coniacentes civitati praenestinae(11), ma la cosa interessante è che dopo questo anno scompare la denominazione di Castrum Trebanum o territorio trebanense e il paese acquista definitivamente il nome di Cave (U.T. 56)(12).
Inoltre si assiste alla completa trasformazione del fondo di Casa Maior nel borgo di Vallis Montonis, nome adottato dal 1052(13).
Si tratta comunque della logica conseguenza di una lenta trasformazione avvenuta soprattutto ad opera dei contadini e probabilmente anche sotto il patrocinio della famiglia Conti diretta interessata a crearsi nuove roccaforti durante le lotte per le investiture. La stessa trasformazione, ma forse con tempi più lunghi, avvenne per Labico che nei documenti degli inizi del XIV secolo appare con il nome di Lungianum(14), sempre proprietà dei Conti di Segni. Durante i secoli XII e XIII il feudalesimo dominante spinse i contadini rimasti a trasferire le loro abitazioni in luoghi meno esposti alle battaglie e agli assalti e quindi lontano dai castelli e dalle vie militari(15), così molti casali e aree prima coltivate furono abbandonate. E' probabile che, sulla scia delle lotte tra feudatari, nel XII secolo fu costruito il cosiddetto Torraccio di Mezza Selva. L'area in cui sorge appartenne fino alla metà del XIII secolo ai Conti di Tuscolo, poi il Tenumentum et castellum Algidi furono accorpato nel patrimonio dei Colonna di Palestrina(16).
La sua ubicazione nei pressi del tracciato dell'antica via Labicana serviva come controllo e difesa del confine occidentale(17) del territorio della famiglia Conti, e la sua sopravvivenza fino al XV secolo dimostra come ormai fosse decaduta la via Labicana e sostituita dalla Casilina, decadenza determinata in parte dalla presenza stessa del castello(18).
Tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV la situazione del territorio era la seguente: la fascia nord est comprendente Palestrina, Zagarolo e Cave erano domini della famiglia Colonna, mentre l'area di Valmontone, Labico e Artena appartenevano ai Conti, il confine passava qualche chilometro ad est di Valmontone. Intorno alla fine del XIII secolo, durante le lotte tra il papato e la famiglia Colonna, Palestrina, roccaforte di questi ultimi, fu devastata e fu ricostruita solo verso la metà del XV secolo. Durante il XV secolo il deperimento dell'agricoltura e l'abbandono dei piccoli centri rurali incrementò la demografia dei comuni e dei castelli feudali e favorì la formazione delle grandi proprietà agricole delle famiglie nobili che, attraverso legami di parentela e vendite globali, in parte si conservarono fino al secolo scorso, basti pensare alle proprietà Barberini in località La Colombella e Prati. Il paesaggio che si presenta in età medioevale è piuttosto desolato rispetto ai precedenti, con pochi centri che continuano a sopravvivere dopo le invasioni longobarde. La maggior parte delle ville urbane e rustiche disseminate nelle campagne vengono abbandonate e la gente tende a raccogliersi in aree facilmente difendibili dando origine a nuovi piccoli feudi. Le aree agricole si riducono ormai ad appezzamenti nelle vicinanze di questi stessi centri, lasciando ampie distese incolte sfruttabili come pascolo. Sono veramente pochi i centri rurali che nascono ex novo e che abbiano lasciato qualche traccia, occorre infatti considerare che le dimore contadine costruite con legno, paglia e fango tipiche dell'area dei castelli romani e in alcuni casi ancora presenti durante il secolo scorso, a causa dei materiali altamente deperibili sono praticamente impossibili da individuare durante una ricognizione. Purtroppo, perdendo questi dati, si perde la reale visione del paesaggio che in questo modo appare più desolato di quello che era nella realtà ormai trascorsa, inoltre si perdono i dati su quelle che erano le caratteristiche e lo stile di vita degli strati sociali più bassi che comunque fanno parte attiva dello sviluppo delle vicende storiche. 




1 - E. Ferracci, 5. Cesareo e lager Labicanus, Roma 1988, pag. 13. 

2 - L.A.Muratori, A.I.M.Ae. I pag. 837; Petrini, Memorie prenestine, Roma 1795, pag. 98. 

3 - Tomassetti, III, pag 540.

4 - Cave fu uno dei più antichi castelli del Medioevo nel Lazio ed ebbe origine da enfiteuti della badia sublacense. (Tomassetti III, op. cit. pag. 607).

5 - Tomassetti, III, pag 443 e 542.

6 - P. Toubert, Les Structures di Latium medieval, Paris 1973, pag. 330.

7 - Nella tavoletta sono presenti diversi toponimi di questo tipo: I Casali, Colle Casalamandra, Colle Casalecchio .... 

8 - Sbardella pag. 48, 49; Cecconi, pag.227, 228 ; A. Nibby, II pag.475.

9 - Reg. Subì, doc. pag.70; Sbardella pag.49; cfr oltre. 

10 - G. Bossi, Un iscrizione del X secolo...,in Diss. della pont Acc. romana di archeologia 1927, pag. 123: A. Borzi, Santuari mariani della diocesi di Palestrina, Romal988, pag. 114.

11 - Dello stesso anno c'è un altro documento nel Regesto Sublecense n. 183 riportato anche in Muratori R.I.S. 1,3 pag. 355 e ssg in cui si parla di un Castrum Trebana in territorio prenestino comprendente le chiese di S. Maria in Plateis (dal nome della contrada il Campo), oggi nota come S. Maria del Monte, e S. Stefano.

12 - Cave fu feudo dei Conti, poi attorno alla metà del XIII secolo passò agli Annibaldi e successivamente, agli inizi del XIV secolo ai Colonna (Tomassetti III, pag. 607, 608).

13 - Vallis Montonis in Arch. Sforza-Cesarini citato da G. Tomassetti III, pag. 532. 

14 - G. Tomassetti, III, pag. 528.

15 - E. Ferracci, San Cesareo e l'Ager labicanus, Roma 1988, pag. 13. 

16 - L. Quilici, Un castello a pianta poligonale, in B A LUI, 1968, pag. 19.

17 - I feudatari confinanti erano gli Annibaldi, proprietari del castello della Molara (carte feudale del Lazio in Almagià pag. 30). 

18 - L. Quilici, idem pag. 21


Viabilità nel Medioevo

Durante l'alto medioevo la rete viaria formatasi durante l'età romana continuò ad essere sfruttata, questa sopravvivenza durò almeno fino all'età carolingia quando era ancora molto forte la volontà di continuità dell'eredità dei valori civili e militari dell'impero romano d'occidente filtrati però attraverso i nuovi valori cristiani del Sacro romano impero.
Questo equilibrio si interruppe con le incursioni saracene che portarono come conseguenza lo spopolamento della campagna romana e quindi la decadenza di numerose ville e centri rurali. I primi a farne le spese furono i percorsi secondari di cui infatti restano scarse tracce. Le vie consolari fino all'XI secolo mantennero i loro nomi originali, poi gradatamente se ne perse memoria, ma spesso il loro ricordo sopravvisse attraverso toponimi di fondi e territori da esse attraversati come nei termini Tertio, Quarto, Ad Decimum..per indicarne il miglio(1).
Molte di queste strade senza più alcuna cura o manutenzione furono gradualmente coperte dall'erba, dalla terra e il loro assetto fu notevolmente compromesso anche dall'intervento umano, dannoso non solo in epoche antiche, ma anche e soprattutto in periodi recenti(2).
La via Latina mutò il suo nome originale con quello di Anagnina in età piuttosto tarda e cioè da quando Gregorio XI nel 1337 la percorse per recarsi ad Anagni, una delle città più importanti lungo il suo tracciato. In questa occasione il percorso fino a questa località fu restaurato. La via Latina, col trascorrere del tempo subì alcune modifiche lungo il proprio tracciato in funzione di nuovi centri abitati come probabilmente avvenne presso la località Le Macere. 

La via Labicana invece, già attorno all' VIII secolo prese il nome di Casilina dalla località di Casilinum (attuale Capua), ultima città lungo il suo percorso. Secondo il Quilici la decadenza della via Labicana in questo tratto è stata anche determinata dalla presenza del Torraccio di Mezza Selva che contribuì al suo slittamento verso Nord, ma la causa principale fu la trasformazione di due fondi: Longoienianum e Casa Maior in veri e propri feudi. Il nuovo itinerario probabilmente già presente in alcuni tratti(3) come collegamento diretto tra i due centri in età tardo imperiale, consolidò il suo percorso attraverso i secoli successivi. Il suo tracciato non corrispondeva a quello attuale, ma in parte ricalcava il percorso ferroviario, che offriva un agevole passaggio di fondovalle come dimostrano anche le mappe del catasto Alessandrino del XVII secolo.
Altre vie che mantennero in parte il proprio originale tracciato furono: la via Olmata e la via della Selcia, quest'ultima in particolare mantenne ancora nel nome la testimonianza della sua origine romana. Non è comunque l'unico caso nell'ambito della tavoletta, infatti è presente anche il toponimo di Pietraficcata. per indicare la presenza di un tratto di basolato, oggi ancora in situ lungo il tracciato della via Prenestina nuova e il toponimo di Colle Selcione per indicare una località in cui passava una strada basolata, in questo caso la via Labicana.
Un'altra strada il cui tracciato si mantenne anche durante il Medioevo fu la via che collegava Palestrina a Cave, infeudata nella seconda metà del X secolo, più a Sud rispetto a quella attuale. Anche l'antica strada romana passante ai piedi del colle della Noce, durante il Medioevo rappresentava un importante accesso al paesetto di Zagarolo(4), ne sono prova le due chiesette dello Spirito Santo e della Visitazione, a circa 100 metri dalla precedente, proprio orientate lungo questa via. Infine anche i due percorsi che da Palestrina scendono verso Labico e Artena, quest'ultimo collegando anche Valmontone, sviluppatisi lungo due tracciati preesistenti continuarono a sopravvivere, con qualche leggera modifica, durante il Medioevo. In particolare il toponimo La Torretta, proprio al confine comunale tra Valmontone e Artena, potrebbe indicare la presenza di una piccola fortificazione con funzione di vedetta lungo la strada che attraversava i confini territoriali di due feudi della famiglia dei Conti di Anagni(5).
Un percorso nato ex novo durante il Medioevo è rappresentato dalla strada che collega l'antico borgo di Cave con la via della Selcia. Lungo il suo tracciato sono infatti presenti diverse prove certe come il ponte a schiena d'asino rappresentato dall'U.T. 64, il taglio attraverso le colline a nord del fosso Rio e i tratti costituiti da un ciottolato bianco calcareo ancora in situ.
La via passava davanti ad una cappelletta oggi in rovina dedicata allo Spirito Santo e, dopo un breve tratto rettilineo, incontrava la via della Selcia in località Madonnelle. Probabilmente la strada proseguiva oltre fino a raggiungere il fontanile dei Pischeri, ma si tratta solo di una supposizione in quanto questo tracciato secondario è semplicemente costituito da terra battuta. 




1 - P. Toubert, Les structures di Latium medieval, Paris 1973.

2 - Mi riferisco in particolare al caso della via Latina riportato a pag. A4 e del diverticolo della via Labicana noto come Prenestina nuova a pag. 38.

3 - In particolare mi riferisco al naturale percorso di fondovalle oggi attraversato dalla ferrovia e non all'attuale via Casilina costruita su un più recente taglio. 

4 - E. Loreti, La chiesuola de hi Tiringhiusu, in Incontro, N.7, nov.- dic, 1980, anni VI. 

5 - R. Almagià, Lazio, Torino 1966, pag. 30 .

Località: Campo di Cave

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 57'' 41° 49' 58''
Materiale vario
Presso i confini orientali della tavoletta, ai piedi di un monte, si trova una piccola vigna circondata e disseminata di materiale archeologico.
Lungo il terrapieno di terrazzamento meridionale si distinguono ammassi di conglomerato cementizio, laterizi, pezzi di tegole, cubilia di opera reticolata, qualche frammento di marmo lunense, e vari frammenti di ceramica romana acroma.
Sparsi nella vigna si distinguono resti di sigillata africana, ceramica di fabbricazione locale con numerosi inclusi micacei, ceramica da fuoco e qualche tessera di mosaico nera di circa mezzo centimetro.
Purtroppo la parte restante del campo presenta una scarsa visibilità a causa dell'erba alta.

Località: Campo di Cave

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 30' 41° 49' 56'
Cisterna
Accanto ad una costruzione recentissima non ancora completata, lungo il lato sud orientale, si trova una cisterna in conglomerato cementizio privo di cortina costituita da un unico ambiente rettangolare le cui dimensioni misurano approssimativamente m. 4,40 x m. 8,40. 
Quest'ultima dimensione è comunque maggiore in quanto prosegue infossandosi sotto il livello del terreno. 
Tale cisterna, il cui orientamento è N-S, è stata inglobata nell'edificio per permettere la realizzazione di un piano orizzontale per costruirvi sopra l'attuale edificio. 
Il materiale che spicca all'interno del conglomerato cementizio è un calcare bianco molto diffuso in quest'area.

Località: I Casali

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 29'' 41° 49' 55''
Villa con perimetro non definito
A poche decine di metri dalla cisterna, scendendo lungo il pendio in direzione ovest, si trovano resti di opera quadrata sempre realizzata in calcare locale, cubilia, frammenti di tegole, mattoni, ceramica romana acroma e resti evidenti di una pavimentazione in cocciopesto con orientamento analogo alla cisterna.
E' stato rinvenuto inoltre un consistente frammento di sigillata africana databile alla prima metà del II secolo d.C.
L'area era già nota all'ex Gruppo Archeologico Latino i cui affiliati, alcuni anni fa, durante i lavori di sterro per la costruzione della casa suddetta, videro un muro in filari di laterizi e tufelli con soglia e ceramica in sezione(il materiale raccolto è conservato al museo di Palestrina). 
Oggi, tale muro non è più visibile. 
Attraverso i pochi dati acquisiti si può dedurre che tale villa, probabilmente di tipo rustico, nata forse in età repubblicana, come confermano i resti di murature in opera quadrata e reticolata, ebbe una durata che si prolungò fino al tardo impero.

Località: Colle S. Agapito

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 39'' 41° 49' 55''
Cunicolo
Cunicolo scavato nel tufo con andamento E - O dove tuttora vi scorre una modesta quantità d'acqua che alimenta il ruscello sottostante. 

Località: San Bartolomeo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 23'' 41° 49' 34''
Epigrafe
San Bartolomeo è una ex chiesa rurale costruita sulla via Prenestina nel 1700 annesso si trovava l'istituto delle suore francescane(1) oggi ridotta a usi profani. 
In questa zona è stata rinvenuta dal Gruppo Archeologico Latino una epigrafe inedita con la seguente iscrizione: ...VRVINEIA ). L. APOLLONIA / MALLIUS M. L. MELITO / ...ALLIA M. L. CHELIDO / ...ALMA M. L. TRYPHERA; adoperata capovolta come soglia ed oggi conservata nel chiostro della chiesa di San Carlo Borromeo, per la tipologia dei caratteri epigrafici sarebbe collocabile in età repubblicana.


(1) A. Borzi. Guida ecclesiastica della diocesi di Palestrina, Palestrina 1989, pag. 132

Località: il Campo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 25'' 41° 49' 32''
Materiale vario, Chiesa di S. Maria del Monte e Convento
Non si conosce con precisione l'epoca in cui venne eretta questa chiesa, ma viene citata per la prima volta in un documento riportato dal Regesto Sublacense (n. 173) del 1021 in cui si parla di alcuni casali e chiese posti " in territorio trebanense coniacentes civitati Praenestinae " tra cui S. Maria in Plateis meglio nota come S. Maria del monte, forse per non confonderla con la moderna chiesetta di S. Maria del Campo nell'attuale cimitero. 
Della chiesa con il piccolo monastero annesso oggi restano solo poche mura in rovina sommerse dalla fitta vegetazione del bosco. 
Oltre ad un residuo di muro portante quasi del tutto privo di cortina, si trovano muretti piuttosto bassi in conglomerato cementizio con allettate scaglie di selce e tufi. 
Sono stati rinvenuti, inoltre, un paio di cubilia ricavati da una pietra calcarea bianca, piuttosto abbondante in quella zona, e alcuni frammenti di ceramica medioevale arcaica a vetrina pesante esterna databili attorno al X secolo. 
Dalla breve descrizione fornitaci dal Borzi sappiamo che solo il lato destro della chiesa, ornato da finestrine lobate in tufo, dimostrava la sua antichità, avendo ormai perduto il primitivo aspetto a causa delle successive ristrutturazioni(1). 
La chiesa, formata da un solo vano di pianta rettangolare, era stata restaurata dalla confraternita locale della Madonna del Rosario nel 1561. 
Nel 1567 la stessa confraternita donò ai frati Francescani la piccola chiesa di S. Maria del Monte dove vi si stabilirono fino alla costruzione della chiesa di S. Carlo Borromeo avvenuta nel 1616(2). 
L'ipotesi che questo complesso possa sorgere su di un'antica villa è probabile, ma due cubilia riciclati nelle murature e qualche frammento di ceramica della tarda età imperiale non forniscono una prova sufficiente.


(1) A. Borzi. Guida ecclesiastica della diocesi di Palestrina, Palestrina 1989, pag. 121.
(2) A. Pennacchi. Le ragioni di un restauro, Genazzano 1991 pag. 4, nota 7.

Località: il Campo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 55'' 41° 49' 19''
Cisterna
Cisterna rettangolare in conglomerato cementizio formato da scaglie di pietra calcarea bianca locale e malta su cui è stata edificata una casa.

Località: il Campo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 35'' 41° 49' 15''
Basilica
In tale località probabilmente era situata l'antica basilica di san Pietro.
Riguardo la sua ubicazione c'è un importante studio dell'abate D.Germain Morin(1) che analizza il passo del Liber Pontificalis: Item via trivana, miliario XXVII ab urbe Roma, rogatus ab Albino et Giaphyra pp inlustris de proprio facientes a fundamento, basilicam beato Pietro in fundum Pacinianum dedicavit.
Egli identifica la via Trivana (antica Tribana) come quella strada che da Roma attraverso la Prenestina, conduce a Trevi (antica Treba) passando per Cave.
I codici manoscritti del Liber Pontificalis riportavano diverse lezioni, ma scartate quelle sicuramente errate come Tirbutina, che non raggiunge il XXVII miglio e Tribuna perché inesistente, dalla comune radice trib o triv aggettiva al femminile si raggiunge appunto la forma trivana/tribana, accettata sia dal Mommsen che dal Duchesne.
Inoltre è nota l'esistenza a nord di Anagni, presso le sorgenti dell'Anio di una città chiamata Treba Augusta come ci tramandano Tolomeo, Frontino e Plinio, identificabile con l'attuale Trevi.
Avendo dunque una località e un nome da essa derivante le conclusioni sono chiare: la via Trebana conduceva a Trevi, come infatti attesta la Tabula Peutingeriana che segna una strada che da Praeneste collega Treblis, corruzione di Treba.
La via Prenestina era lunga solo XXIII miglia ed è quindi a quattro miglia oltre che occorre posizionare il Fundus Pacinianus nominato nel Liber Pontificalis se si suppone che la via Trebana calcolasse effettivamente le sue miglia da Roma.
In un documento del 1633 si parla dell'affitto delle canepine situate su colle Parignano, forse una corruzione del termine suddetto, situato nell'area presso cui sorge la chiesa di San Lorenzo.
Negli anni '70 a colle Pezzuto, lungo la via di San Lorenzo in proprietà Margutti, durante i lavori di livellamento di un terreno a meno di due metri di profondità furono rinvenuti resti di murature in opera reticolata e mattoncini.
Nella sezione di fronte venne alla luce l'imbocco di un cunicolo in muratura con copertura a cappuccina, resti di ossa umane e delle murature, piuttosto rozze, formate da qualche filare di mattoncini e tufi informi, giudicate appartenenti ad un'età tardo antica(2)
Purtroppo non sono stati eseguiti ulteriori sondaggi per accertare se tali resti potessero appartenere alla basilica di San Pietro.
Il Piazza cita tra le chiese di Cave una dedicata a san Pietro molto antica, anzi, la più antica, quella fondata da Simmaco nel 500: "...San Pietro, chiesa molto antica, che, da qualsiasi parte la si esamini fornisce prova della sua venerabile antichità.
Si può congetturare con probabilità che sia la prima in questo luogo dove fu celebrato il culto divino.
Anche se le ingiurie del tempo non la hanno risparmiata è rimasta , ciò nonostante sorvegliata e curata dal Capitolo della Collegiale.
Vi si celebra ancora la messa in certi giorni dell'anno e con una solennità particolare la festa del Santo apostolo di cui essa porta il nome"(3).
L'unico edificio sacro dedicato a San Pietro è un piccolo oratorio fatiscente che si trova nell'antico borgo.
La costruzione, ornata solamente di un affresco forse risalente ad uno o due secoli fa, posto dietro l'altare, ha subito numerosi restauri e solo l'area absidale e l'angolo con la parete nord conserva la muratura originaria caratteristica di Cave formata da tufelli regolari e risalente attorno al XII-XIII secolo.
In un documento riguardante la ricorrenza delle feste delle varie chiese del paese riportato dal Mariannecci(4) e datato 1295 viene appunto nominato anche San Pietro, oltre San Lorenzo, Santo Stefano e Sant'Angelo superiore ed inferiore.
La Basilica del V secolo, di cui non resta traccia, sembra sia stata distrutta dalle invasioni barbariche(5) e riedificata poi nel borgo di Cave, quando intorno all'anno Mille "il paese si ritirò e restrinse tutto al Rapello", località naturalmente fortificata.
Nel Sacramento Leoniano vi è una XXXIV° Messa in dedicatione(6), e secondo un'accurata analisi del Morin non si tratta della messa per l'inaugurazione della basilica di San Pietro a Roma in quanto non solum ubi venerabiles eius reliquiae conquiescunt, sed ubicumque pretiosa reverentia fuerint invocata e questo fa supporre, come anche il passo successivo, che si tratti di un luogo al di fuori di Roma, suo dominio speciale.
La presenza di una chiesa così antica fa supporre che a Cave fin dai primi tempi del cristianesimo fosse sede di importanti comunità cristiane, rifugiatesi in luoghi più tranquilli per sfuggire alle persecuzioni(7).


(1) G. Morin in Bull. d'ancienne literat. et arch. cretienne 1911 pag. 241-246.
(2) Sopr. arch. per il Lazio, archivio depositi Cave, fasc. 008.
(3) C. B. Piazza. La Gerarchia Cardinalizia, Roma 1703, op. cit. pag. 227.
(4) N. Mariannecci, Memorie cavesi, Gavignano 1941, pag. 47. E' il documento più antico in cui viene nominata la chiesa di San Pietro.
(5) N. Mariannecci, Memorie cavesi, Gavignano 1941, pag. 37.
(6) Deus qui beati Petri apostoli dignitatem ubique facis esse gloriosam: praesta quesimus, ut et doctrina semper ipsius faveamur et meritis. Suscipe Domine quaesimus hostias quas maiestati tuae in honore beati apostoli Petri, cui haec est basilca sacrata, deferimus, et eius precibus nos tuere. Vere dignum. Qui ut in omni loco dominationis tuae beati Petri apostoli magnifices potestatem, non solum ubi venerabiles eius reliquiae conquiescunt, sed ubicumque pretiosa reverntia fuerint invocata, tribuis esse potestatem: ut nunc etiam perseverare demontres, quod in omnem terram sonus eius exeat, et toto orbe salutaria verba decurrant...
(7) L. Ariola. Cave stazione idroclimatica, Cave 1951
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Località: il Campo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 58'' 41° 49' 15''
Sepolcro
A circa 15 metri in direzione nord dalla via che porta a Genazzano, antica via Trebana, quasi al confine della tavoletta, si trova una costruzione in conglomerato cementizio.
La sua forma è quasi ellittica e le dimensioni sono 12 metri per il lato maggiore e 6 metri per quello minore, lo spessore delle murature varia tra 40 e 45 cm., ma considerando la mancanza della cortina lo spessore originario era probabilmente di due piedi. I muri conservati non superano l'altezza m. 1,5. La facciata orientale presenta tre muretti a distanza variabile che si espandono a raggiera dalla struttura principale.
Anche il lato meridionale presenta alle sue estremità due muretti mentre le parti rimanenti sono coperte rispettivamente da un garage e una baracca di legno.
Queste murature, che non avevano la funzione di contrafforte, si espandevano per alcuni metri, come dimostra la foto area e i ritrovamenti avvenuti nel terreno adiacente al lato est di muretti con le stesse caratteristiche e lungo la medesima traiettoria.
Inoltre presso queste strutture sono state rinvenute alcune ossa non ben determinate dagli stessi proprietari del terreno. L'interno del monumento presenta in alcuni punti un rivestimento in coccio pesto. La sua struttura generale e l'ubicazione posta lungo il probabile tracciato della via Trebana fanno pensare ad una tomba monumentale.

Località: Colle San lorenzo (I.G.M. Colle Pezzuto)

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 32'' 41° 49' 13''
Chiesa e Monastero
La chiesa di San Lorenzo si trova su un altura a circa un km ad nord dal vecchio borgo, lungo la strada che conduce alla Rocca di Cave. Si tratta di un piccolo edificio risalente alla fine del X secolo dall'aspetto rustico, con la facciata a capanna irregolare.
La porta centrale, cui si accede tramite una gradinata, ha stipiti in travertino e utilizza come architrave un frammento di trabeazione classica costituito da quattro girali di foglie d'acanto. Il marmo bianco con cui è costituito (m. 0,26 x 1,46, lo spessore non è rilevabile) risulta piuttosto rovinato agli angoli, mentre il rilievo è in buone condizioni. Per la ricchezza dell'intaglio è stato dato tra la fine del II secolo e gli inizi del III d.C. L'interno della chiesa è irregolarmente diviso in tre navate da colonne di spoglio, il presbiterio è sopraelevato di un gradino e la copertura è lignea con capriata in vista. La cripta è formata da un ambiente rettangolare molto allungato dal quale parte un corridoio in direzione della facciata, interrotto da una frana. Tra il materiale di spoglio riutilizzato si trovano numerosi pezzi scultorei inseriti nel muro tra cui un frammento di cornice di marmo bianco scolpito ad ovoli e dentelli, un frammento di iscrizione utilizzato come architrave di una porta oggi murata, su cui si distinguono le seguenti lettere: R / D ... / O SENT REFIO ...., un frammento di fregio marmoreo con foglia d'acanto collocato vicino alla porta d'ingresso ed altri due frammenti marmorei utilizzati come soglie. Inoltre lungo le pareti sono murate alcune epigrafi (CIL XIV n. 2958, 3032, 3394).
Le cinque colonne delle navate sono tutte di spoglio e diverse per materiale e altezza(1) ed anche i capitelli e le modanature sono di reimpiego. Tra i capitelli, il primo tra la navata centrale e quella sinistra è di stile ionico di marmo bianco databile al II secolo d.C.., il successivo è di tipo composito a foglie lisce, databile alla metà del IV secolo. Segue poi un capitello di parasta in marmo bianco ed uno composito di tipo corinzio, databile approssimativamente tra la fine del II e l'inizio del III secolo d.C. Sull'altra navata, partendo dall'abside si trova un capitello tuscanico datato tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, ne segue uno a foglie lisce della seconda metà del IV secolo ed uno composito a foglie lisce la cui datazione oscilla tra la fine del IV e gli inizi del X secolo. Infine abbiamo un capitello a tronco di piramide rovesciata in pietra locale difficilmente databile ed uno capovolto situato sotto la mensa dell'altare di tipo preromanico.
La prima sicura menzione della chiesa di S. Lorenzo risale al 988(2) in cui viene detto che era situata su colle Quadrangulo, probabilmente dai suoi quattro lati regolarmente orientati(3). Nello stesso anno, dal Regesto Sublacense, si legge che papa Giovanni XII confermò la proprietà del "fundum, catacumba cum ecclesia Sancti Laurenti" all'abate di Subiaco. Secondo il Marocco(4) la chiesa era unita ad un monastero di cui ai suoi tempi restavano ormai solo ruderi. 
Recenti studi(5) sulla chiesa di S. Lorenzo hanno evidenziato ben quattro fasi edilizie: la prima risalirebbe al X secolo(6); la seconda al 1093, quando fu rifugio degli antipapalini, ma si tratta solo di ampliamenti; la terza fase "Cistercense" risale alla seconda metà del XIII secolo e la quarta legata ai restauri di P. Pulani nel 1502.


(1) Una è di marmo bianco liscio, una è scanalata, due sono di peperino, una è montata a rovescio.
(2) Allodi Levi, Regesto Sublacense, anno 988. doc. 176 Roma 1885.
(3) G. Bossi, in Diss. della Pont. Acc. Rom. di Arch. 1920 p. 124.
(4) G. Marocco, Monumenti dello stato pontificio, Roma 1834, VIII p. 158.
(5) Boccardi Curuni Donati in Archivio di documenti e rilievi dei monumenti Roma 1979.
(6) Bolla di fine X secolo del Vescovo di Palestrina dove si dice che la chiesa di S. Lorenzo con il convento annesso dei Benedettini era posto in un fondo detto Quadrangulo (Cecconi, pag. 232).

Località: Grotta Piana

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 38' 41° 49' 12'
Cisterna e Villa con perimetro non definito
Lungo via detta della Selcia, circa a mezzo chilometro a sud di S. Bartolomeo, si trova un'imponente struttura di epoca imperiale in opera reticolata con cinture di laterizi, occupante un'area di circa m.q. 50x50 con quaranta arcate perfettamente simmetriche, ad arco acuto completamente intonacato. 
Le arcate, alte circa quattro metri e alla base larghe due, formano un grandioso porticato e sorreggono una volta massiccia un tempo coperta di erba e rovi. 
Oggi questa cisterna è inglobata in una moderna costruzione che la utilizza come cantina e garage. 
Il Mariannecci continua con la sua descrizione: " Nelle vicinanze di questa c'è una costruzione molto ruvida all'esterno, ma molto liscia dentro da sembrare una chiesa. Forse era adibita per bagni privati o conserva d'acqua". 
Purtroppo oggi questo edificio non è più visibile, mi è stato riferito che la nuova villetta sorta nel terreno adiacente presenta in una parte esterna un muro in opera reticolata lungo circa 30 metri. 
Nel 1978 in una proprietà limitrofa, durante i lavori di scasso per un vigneto, furono rinvenuti resti di murature, pavimenti e molti frammenti marmorei policromi per un'area di circa 200 m.q.(1). 
Nei dintorni si trova ceramica a vernice nera, sigillata italica e africana e ceramica romana acroma che fanno propendere per una cronologia che spazia dalla media età repubblicana, fino alla tarda età imperiale.


(1) Sopr. arch. per il Lazio, archivio depositi Cave, fasc. 007.

Località: Colle Pezzuto

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 31'' 41° 49' 11''
Villa con perimetro non definito
A poche decine di metri ad ovest dalla chiesa di San Lorenzo, nella proprietà che nel 1945 apparteneva alla famiglia Venanzi, il Mariannecci notò resti di materiale archeologico come: blocchi di pietra lavorata, colonne di vario stile e di varia materia, bassorilievi, capitelli, fregi e pietre con iscrizioni latine ( M. LAVTI M. F: CIL XIV 3077).(1)
Oggi parte del terreno della villa è stato venduto e lottizzato e buona parte del materiale archeologico in essa conservato è scomparso.



(1) N. Mariannecci, Memorie cavesi, Gavignano 1941, pag. 16

Località: Colle dell'Aquila

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 46'' 41° 49' 08''
Villa con perimetro non definito
All'interno del paese, poco lontano dal borgo medioevale, si trova un convento dedicato a S. Carlo, oggi appartenente ai Frati minori Conventuali. La chiesa è stata costruita tra il 1616 e il 1640 ed inseguito i frati conventuali fecero costruire anche il convento annesso. Tutto il complesso è situato sul colle detto dell'Aquila, presso la località la Villa, in sostituzione ad un precedente edificio dedicato ai santi Rocco e Sebastiano(1).
In un contratto del 1608 riguardante l'affitto delle canepine appartenenti a questa ultima chiesa, si dice che in questo luogo sorgesse una villa di Cesare(2).
Molti dei marmi che formano l'altare maggiore provengono infatti da questa villa ed inoltre l'altare più piccolo poggia su di un capitello di colonna corinzia, le due colonnine di marmo bigio africano ai lati dell'abside sono romane come anche i due ritratti funebri li presenti. Il primo rappresenta una figura femminile con una acconciatura costituita dai caratteri greci. Stilisticamente entrambi i ritratti sembrano risalire alla fine dell'età repubblicana. Si tratta chiaramente di pezzi architettonici legati ad un monumento funebre. Presso l'abside si trovano anche due colonnine tortili in stile gotico provenienti dalla vicina chiesa di S. Lorenzo.
Nella proprietà del convento sono stati rinvenuti una protome marmorea di un personaggio togato imberbe, una statuetta acefala tunicata, forse una Diana, ed una altra statua femminile panneggiata pure acefala(tutte trafugate), inoltre nel chiostro del convento si possono ammirare: un piccolo sarcofago di travertino un tempo adibito a fontana, resti di mondanature architettoniche, un coperchio di sarcofago a doppio spiovente in peperino, ed i resti di un terzo sarcofago con parte di una iscrizione (LERIA M. F. SABINAE LOCUS SEP) che per la tipologia dei caratteri sarebbe collocabile in età imperiale.


(1) A. Borzi, Guida ecclesiastica delle diocesi di Palestrina, Palestrina 1939, pag. 128.
(2) Marianecci, pag. 10
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Località: Madonna del Campo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 23'' 41° 49' 06''
Chiesa
Il toponimo Il Campo è stato talvolta interpretato in riferimento all'uso di una piazza d'arme in cui si esercitavano i Milites posti in difesa di Cave, ma il termine è troppo comune e vago per avere la certezza di tale significato(1).
Secondo la tradizione in questo si svolse la battaglia del console Aquilio Tusco contro i Volsci nell'anno 267 di Roma (Dionigi VIII, 65; Livio II, 40).
Nel 1655, in questa contrada, sulla via che da Cave porta Genazzano, in seguito alla demolizione di una antica muraglia, si produsse una frana che rivelò un sotterraneo con doppia scala laterale, "composta di sassi sconnessi e logori(2).
Sul fondo della scala in una specie di cunetta nel muro apparve incrostata nella calce l'immagine della Vergine con il Bambino tra le braccia tra i santi Pietro e Paolo.
L'affresco che sembra risalire ai secoli VII-VIII, è di chiara ispirazione benedettina, ma, nonostante ciò, alcuni studiosi locali ritennero che la cripta appartenesse alla antichissima basilica dedicata all'apostolo Pietro da papa Simmaco (U.T. 35). In seguito a questo ritrovamento fu costruito l'attuale santuario che sovrasta la antica cripta, denominato appunto Madonna del Campo(3).
Questa area apparteneva un tempo ai monaci benedettini, e qui doveva sorgere la chiesa rurale di S. Sabino, venduta, insieme ad alcune abitazioni limitrofe ormai in rovina, per ricavare fondi per la nuova chiesa di S. Stefano(4). Forse la cripta e le strutture fatiscenti rinvenute insieme al dipinto raffigurante la Madonna erano pertinenti alla chiesa di S. Sabino, già in rovina nel 1428 e di cui oggi non resta traccia.


(1) G. Presutti in Atti e mem. dela soc. tib. di storia e arte XIII, XIV, 1933-34, pag. 177.
(2) A. Borzi, Santuari mariani della diocesi prenestina, Palestrina 1988 op. cit. pag. 55.
(3) A. Borzi, idem, pag. 55-56.
(4) ...Casale quoque Sncti Sabini nuncupattum dicte diocesis pro aliis quibusve possessionibus, terris et domibus, etiamsi domus ille sint dirute et colapse et ad incolas et habitatores aliquos dicti casti pertinentes, cum ipsis incolis et habitatoribus ac aliis permutandi, vel alias eas plus offerenti vendendi et alienandi. (Reg. Vatic. 351 f 33, anno 1428)
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Località: Valle Romana

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 58'' 41° 48' 04''
Tomba
Lungo il margine occidentale di via della Selcia, a circa un chilometro dall'incrocio di S. Bartolomeo si trovano i resti di una costruzione di forma circolare con diametro di circa 5 metri. 
I muri di un altezza variabile tra m. 1,50 e 1,60, sono spessi circa 60 cm. escludendo la cortina di cui in alcuni punti se ne conservano lievi tracce. 
La cortina era in prevalenza in opera reticolata con ricorsi di cinture di laterizio.

Località: Colle S. Stefano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 04'' 41° 49' 04''
Villa con perimetro non definito, Chiesa e Monastero
La chiesa di S. Stefano, insieme a quella di S. Sabino, fu fondata da papa Stefano III (752-757) e affidata alle monache di S. Ciriaco a Roma a cui appartenne fino al IX secolo(1).
La proprietà, che si estendeva anche sul colle limitrofo dove oggi è situato il cimitero, passò poi nelle mani dei Benedettini. Nel 1385, per volere di papa Bonifacio IX, il tempio e l'annesso monastero fu affidato alla tutela degli Agostiniani e in questa occasione la chiesa fu completamente ricostruita(2).
Papa Martino V nella bolla al vescovo di Veroli, datata 1428(3), dispone l'edificazione di un'altra chiesa dedicata a S. Stefano(4) nel centro abitato, cioè nel borgo, e ciò decretò il lento e graduale abbandono della chiesa precedente denomina appunto S. Stefano vecchio. Di questa antica chiesa, che faceva parte di un unico complesso con monastero ed una serie di casali rurali, resta solo parte del muro dell'abside sommerso ormai dalla vegetazione e qualche muretto disperso nel bosco lungo le pendici sud orientali del colle.
Probabilmente la chiesa era orientata verso NO, poiché lungo quella direzione all'abside sono state rinvenute dagli abitanti della zona alcune ossa umane.
L'area in cui sorgeva S. Stefano vecchio è interessata anche da sporadiche presenze di ceramica romana tra cui sigillata africana di tipo A e D, frammenti di orli anneriti, ceramica acroma comune di età imperiale, qualche tessera di mosaico bianca o nera e frammento di serpentino verde. Il colle è inoltre interessato da una consistente presenza d'acqua; oltre alla vicina fontana già segnalata dalla carta IGM, lungo le pendici sud orientali si trova una sorgente che sgorga da un cunicolo scavato nel tufo. Probabilmente l'area era occupata da una villa collocabile, attraverso i pochi raccolti, in piena età imperiale (III-V secolo d.C. su cui in seguito si sviluppò il complesso dei casali monastici.


(1) A. Borzi, Guida ecclesiastica della diocesi di Palestrina, Palestrina 1989 op. cit. pag 123 - Marianecci, pag. 27.
(2) Marianecci, pag. 91.
(3) Reg. vat. 351 f. 176, citato da G. Presutti in Atti e memorie della soc. tib. di storia e arte XIII-XIV, 1933-34 pag. 176 e sgg.
(4) La chiesa del 1428 si trova nel borgo medioevale ed è ancora visibile al di sotto di quella attuale del 1734, ma con orientamento opposto. Forse le colonne di questa chiesa sono appartenute ad edifici pagani. (A. Borzi, pag. 125)
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Località: Colle Palme

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 28'' 41° 48' 03''
Tomba, Cisterna e Ninfeo
Di fronte all'antico borgo di Cave, in un dirupo che sovrasta la via della Ripa, all'interno di un bosco, si trovano i resti di notevoli dimensioni.
Il complesso è sovrastato da una cisterna scavata nel tufo della collina, le cui pareti risultano all'entrata completamente impermeabilizzate mentre all'interno l'impermeabilizzazione raggiunge un'altezza di circa m. 1,20 - 1,50.
La pianta della cisterna è formata da una serie di gallerie con volta a botte: l'ambiente C presenta una parete in opera reticolata e l'unico sfiatatoio è rappresentato dal cunicolo D in parte interrato. Il pavimento della galleria E è coperto di fango e la camera F, in parte occupata dall'acqua, presenta numerosi stillicidi.
Comunque una struttura così ramificata indica un tipo di rifornimento secondario di stillicidio, attraverso lo sfruttamento del terreno poroso e delle gallerie che contribuiscono ad aumentare l'area di superficie secernente. 
Poco prima di raggiungere la cisterna si incontra una struttura in parte intonacata in opera incerta, la cui copertura, di cui ne resta una parte, era a volta: sulla parete di fondo è stata costruita una mangiatoia in cemento, segno che la costruzione era stata adibita a stalla.
La terra non permette di determinare la precisa altezza, ma la sua ampiezza è di circa 4 metri, lungo le due pareti laterali si aprono due nicchie il cui contorno è stato rovinato dalle radici delle piante rampicanti.
Presso la parete di fondo, sui muri laterali ci sono due buchi simmetrici,probabilmente l'alloggiamento di un trave ed anche nella parete di fondo ci sono dei fori allineati di dimensioni piuttosto ridotte. Non si tratta di un mezzanino in quanto i lati del vano non presentano ulteriori tracce di alloggiamenti per travi.
Servivano probabilmente per fissare una copertura interna, forse incrostazioni marmoree di cui forse una parte è stata riutilizzata per costruire una fontana, come vedremo oltre. Più avanti si raggiunge un cunicolo la cui apertura era incorniciata da tre blocchi parallelepipedi di travertino. L'interno sembra essere in opera reticolata.
Il cunicolo convoglia l'acqua dalla sorgente verso i sottostanti edifici terrazzati.
E' impossibile capire la sua relazione con la cisterna visto che all'interno di essa non si trova alcun corridoio di collegamento, forse la cisterna è stata costruita precedentemente al cunicolo e cioè prima dello sfruttamento della sorgente, oppure più semplicemente come rifornimento secondario d'acqua.
Il cunicolo, in parte occupato dall'acqua, fornisce ancora una fontana sottostante, costruita riutilizzando antichi marmi bianchi la cui lavorazione risulta ormai levigata dall'acqua. La piccola casa che sorge di fronte al cunicolo, ormai in stato di completo abbandono, è stata costruita riutilizzando in parte il materiale antico disponibile.
Nella cantina sono stati ammucchiati numerosi frammenti di cornice architettonica in marmo e travertino un pezzo di granito grigio egiziano e una lastra rettangolare di marmo lunense, che probabilmente costituiva un pezzo di incrostazione marmorea parietale probabilmente provenienti dalla vicina struttura A.
La casa poggia su uno dei terrazzamenti dell'antico edificio come dimostra la presenza di antiche strutture lungo tutto il pendio.
L'antico complesso è orientato precisamente ad est.
Prendendo il sentiero immediatamente a destra della casa si scorge tra la vegetazione un muretto, che sembrerebbe ancora in sito, in conglomerato cementizio privo di cortina che segue in parte l'andamento dell'acqua di scolo della fontana.
Proprio alla fine di questo muretto lungo la facciata del pendio sovrastante, si nota un pezzo di muro angolare in opera reticolata con ammorsature in laterizio che emerge dalla terra, e sicuramente facente parte della struttura che sorreggeva il terrazzamento superiore.
Scendendo ulteriormente lungo il pendio si incontra la parte laterale di un secondo terrazzamento, in conglomerato cementizio, ma con le pareti allisciate.
Ad un livello inferiore si trovano altri resti di mura di contenimento che s'innalzano lungo il pendio scosceso sul cui fondo si scorge la via della Ripa.
Allo stesso livello di questo muro di terrazzamento ne corrisponde un secondo situato a diverse decine di metri a nord. Proprio presso quest'angolo si trova un'apertura nel muro che potrebbe rappresentare una sorta di canale di scolo. Da questo punto guardando sempre in direzione nord si intravede una successiva struttura di terrazzamento-contenimento. Tra l'area in cui sorge la casa e la cisterna c'è una zona impenetrabile a causa della fitta vegetazione che forma una leggera insenatura nel colle. Di fronte alla cisterna si scende al di sopra di un terrazzamento di cui si intravedono, lungo il lato nord, delle strutture in conglomerato cementizio prive di rivestimento e coperte dalla vegetazione che lasciano intuire un perimetro rettangolare.
Lungo il secondo terrazzamento sono visibili tegole, resti di mattoni, cubilia e frammenti di marmo anche di notevoli dimensioni, tra cui serpentino, lunense, pavonazzetto e cipollino. C'era inoltre un pezzo di tegola d'impasto ed architrave di travertino (lungo m. 1,10, largo m. 0,38 e alto m. 0.24) con modanature architettoniche ed il lato sinistro tagliato forse per un successivo riutilizzo, un frammento di lastra fittile la cui estremità è decorata da un motivo di ovuli sgusciati e una piccola striscetta di piombo che serviva per delimitare le figure in un mosaico. E' visibile inoltre un muretto in opera reticolata con orientamento nord-sud lungo circa m. 8,70 e con un altezza media di circa un metro su cui è ancora conservato lo spessore di cemento che serviva a sostenere le incrostazioni marmoree delle pareti, come dimostra la cospicua presenza nei dintorni frammenti di lastre di marmo bianco giallastro. L'estremità inferiore del muretto collegata al pavimento presenta qualche striscia di incrostazione marmorea ancora in sito. Compreso tra questo muro e l'area di fronte, occupata da materiale crollato, c'è un mosaico a fondo nero con motivi floreali bianchi racchiusi da cerchi formati da quattro foglie lanceolate, di cui è visibile un'area, malgrado qualche piccola interruzione, di circa m. 1,50 x 5,90.
Sembra che il muretto in opera reticolata sia stato costruito in una fase successiva poiché infatti poggia sul pavimento musivo tagliandone i disegni.
Sull'ulteriore terrazzamento sottostante si trova il crollo del precedente con numerose tegole, cubilia, qualche pezzo di mosaico e mattoni tra cui due con bollo rappresentante in un cartiglio rettangolare una freccia la cui parte terminale è composta da un serpente che sta per mordersi la coda(1).
Il mosaico ha una leggera pendenza verso sud. Scendendo più in basso si trovano le strutture in parte prive di rivestimento, in parte in opera reticolata e laterizi che formano le imponenti arcate delle sostruzioni che sostengono il terrazzamento superiore eliminando così l'eccessivo dislivello causato dalla forte pendenza.
In tutto dunque l'intera struttura conta ben quattro livelli di terrazzamenti che sembrano tendere gradatamente a rimpicciolirsi verso la sommità: inoltre gli stessi terrazzamenti non sembrano avere una superficie regolare, ma tendono ad adattarsi alla morfologia della collina.
Tra i resti i frammenti di ceramica sono piuttosto scarsi. L'ipotesi più probabile è che si tratti di un grande ninfeo scenografico come suggerisce l'abbondante presenza d'acqua e una struttura generale piuttosto monumentale. Si trova sicuramente in un luogo ben visibile, anche dalla via Trebana, e facilmente raggiungibile dall'alto tanto che la prima struttura che si incontra potrebbe essere interpretata come una tomba a tempio perfettamente immersa in un locus amenus, come suggerirebbe il suo orientamento verso est, pars sinistra o familiaris, considerato di buon auspicio.
Occorre adesso cercare di capire dove potrebbe essere collocata la lussuosa villa che faceva parte il ninfeo. Per quanto riguarda l'agevolezza del percorso potrebbe essere identificabile nei resti trovati dietro il ristorante Papetto presso la via della Selcia, mentre se si vuole godere di questa struttura dal punto di vista scenografico i proprietari potevano abitare sul colle quasi di fronte, dove oggi sorge villa Venanzi, presso l'antica chiesa di San Lorenzo.
All'interno di questa villa infatti sono conservati capitelli, epigrafi...
Riguardo alla collocazione cronologica di questo monumento, attraverso il tipo di murature ed i materiali rinvenuti e la struttura che lo racchiude, si risale alla piena età imperiale, mentre i mosaici sono forse di età serviana(2).
Solo una pulizia accurata dell'area ed uno scavo potranno rilevare con sicurezza la vera funzione di questa struttura. 



(1) Un bollo analogo è stato rinvenuto a Valle Fredda, nel sito 130 dal Gruppo Archeologico Toleriense durante una ricognizione. 
(2) Morricone Matini. Mosaici antichi in Italia, Roma regio X, Roma 1967 tav. XVII figura 84, 85, motivo con foglie lanceolate.

La pianta della cisterna.

due con bollo

Località: Madonna del Campo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 38'' 41° 49' 02''
Area di frammenti fittili
Il G.A.L. durante una ricognizione raccolse frammenti di materiale fittile di età protostorica oggi conservato nei magazzini del museo di Palestrina.

Località: Castrum Trebanum - Cave

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 17'' 41° 48' 00'' (390 m.)
Castrum Trebanum
Il paese è situato a 390 m. sul livello del mare, su una falda di tufo facente parte del dorso della Mentorella. È collegato con Palestrina tramite un'antica via, che sembra essere il proseguimento della via Prenestina. Il nome di Cave, secondo l'etimologia latina, deriverebbe proprio dalle antiche aperture o brecce praticate tra le rupi prima dai Prenestini e poi dai Romani per il proseguimento della suddetta via(1).
La denominazione potrebbe anche essere spiegata dalle cave di arena e pozzolana che ogni tempo hanno fornito un ottimo materiale di costruzione(2).
Durante il medioevo il territorio compreso tra Cave, Valmontone, Pimpinara, Colleferro e il monastero in Silice era detto Trebanense forse per le tre vie che lo attraversano tra cui un antico diverticolo detto Morino che passa vicino a Cave e nella località detta Croci si immette nella via Prenestina. Secondo il Marianecci le tre vie sudette si chiamavano Morino, Potano e Valli(3).
 In realtà queste ultime sono due percorsi secondari che dopo pochi chilometri si immettono nell'arteria centrale rappresentata appunto dal Morino. Si tratta quindi strade che collegano alcune contrade all'interno del territorio di Cave e pertanto sembra fuori luogo considerarle le vie principali che attraversano il vasto territorio trebanense. L'equivoco nasce dalla posizione del Castrum Trebanum  a volte detto anche Castrum Trebium(4) all'interno del territorio di Cave e precisamente nella contrada Campo, Cannetaccia, come dimostrano alcuni documenti medioevali. Un passo del Liber Pontificalis, a proposito della fondazione della basilica di S. Pietro da parte di papa Simmaco (498-514), nomina una via detta Trebana o Trivana che secondo logica interpretazione del professor Mouren(5), è identificabile con la via che collega Treba Augusta attraverso il proseguimento della Prenestina. Comunque Castrum Trebanum non va confuso con Treba Augusta, riconosciuta come l'attuale Trevi, come è attestato nei documenti sublacensi n. 60, 62, 72 e 273. Secondo lo Sbardella(6), proprio a causa di queste denominazioni diffuse durante il medioevo, Cave potrebbe essere identificabile con l'antica Trebium, cittadina vicina a Tolerium e Palestrina, situata ai confini della valle Latina. Questa tesi è avvalorata da un'interpretazione puramente letterale del passo di Livio (II,39), non accettata però dalla maggior parte degli studiosi che interpretano Trebium come una corruzione di Tolerium, confermata anche dall'elenco delle città conquistate da Coriolano riferito da Plutarco e Dionisio. Però l'esistenza di un antico centro abitato chiamato Trebium (da non confondere con Treba, città degli Equi) è dimostrata da Plinio (N.H.1.3) che nomina Trebium tra le città del Lazio superiore insieme a Praeneste, Tibur, Labicum, Tusculum, Vitellia.... Anche in questo caso però potrebbe trattarsi di un errore, forse del copista stesso che ha scritto Trebium invece di Tolerium di cui si ha maggior certezza. È inoltre plausibile che il nome di Castrum Trebanum non deriverebbe dalla corruzione di Trebium in Trebianum e infine Trebanum, ma semplicemente da una via che conduce a Trevi, la via Trebana appunto.
Cave anticamente aveva rapporti commerciali con Praeneste di cui sono prova i grandi sarcofagi databili al VI-V secolo a.C. fabbricati con peperino cavese(7), della stessa provenienza era anche il tufo impiegato per costruire le mura di Preneste(8). A causa della sua vicinanza con questa città, Cave è stata spesso identificata come uno degli otto oppida prenestini di cui parla Livio (VI,17), ipotesi abbastanza verosimile anche se purtroppo mancano prove più tangibili.
Certamente, come dimostrano i numerosi reperti che sorgono o sorgevano nelle vicinanze del paese, l'area doveva essere abbastanza popolata, con ville e forse anche un piccolo centro abitato, un oppidum appunto. Comunque l'alleanza o la sottomissione di Cave a Praeneste era strategicamente importante per salvaguardare l'accesso sud orientale al territorio prenestino. La prima notizia di infeudazione del paese risale al 970 ed è riportata dal Regesto Sublacense, ad opera della famiglia Crescenzi Stefaniani, discendenti della Senatrice Stefania(9). La zona di Cave è stata comunque sempre interessata dalla presenza umana fin dall'alto medioevo, come testimoniano i due cenobi benedettini(10) di S. Stefano e S. Sabino e di S. Lorenzo. Inoltre, durante le incursioni saracene del IX secolo sicuramente molti fuggiaschi provenienti dai territori costieri si saranno stanziati in questa area sperando appunto nella protezione dei monaci.
In un documento riportato dal Regesto Sublacense (n. 173) e datato 1021 si parla di alcuni casali posti "in territorio trebanense coniacentes civitati praenestina(11), ma la cosa interessante è che dopo questo anno scompare la denominazione di Castrum Trebanum o territorio trebanese e il paese acquista definitivamente il nome attuale. Durante il Medioevo Cave faceva parte della diocesi di Palestrina.
L'antico borgo sorge su una collina tufacea il cui accesso più agevole avviene lungo il lato settentrionale ed è quindi facilmente difendibile. All'interno buona parte del borgo conserva ancora il suo aspetto medioevale e solo l'area sud occidentale è in parziale abbandono e semidistrutta. È difficile stabilire con certezza la presenza su questo colle di testimonianze romane poiché è stato densamente abitato. Ci sono delle grotte usate come cantine la cui antichità è indeterminabile, però dalla Via della Pace si notano alcune arcate in conglomerato cementizio all'interno di una proprietà privata, forse costruzioni pertinenti ad un'antica villa romana.
Poco lontano sorge la cattedrale di S. Stefano sotto la quale si trova una chiesa più antica che utilizza nella ripartizione delle navate antiche colonne. Inoltre i padri Agostiniani, proprietari della cattedrale, hanno scoperto un'urna marmorea con l'iscrizione: ULPIAE SMYRNAE / CAMIDIENUS PLOCA / UXORI BENEME / RENTI CUM QUA VI / XIT AN. I DIES / XV(12).
Nel borgo di cave si trovano numerose case torri, il cui sviluppo in altezza potrebbe essere legato alla poca disponibilità di spazio e a ragioni strategiche, in quanto si trovano concentrate nell'area sud occidentale verso il declivio del colle. Il tipo di muratura più diffusa è costituita da blocchetti di tufo giallastri alti 7-8 cm., disposti in maniera molto regolare e legati con malta di colore grigiastro piuttosto depurata. È un tipo di paramento alto medioevale la cui regolarità sembra influenzata dall'arte romanica dell'XI-XII secolo(13).
Un ulteriore presenza romana all'interno del paese è rappresentata da un cippo di pietra calcarea in una edicoletta domestica in Via dell'Indipendenza con la seguente iscrizione: D.IUNUDIUS RUFUS. come testimonia il Tomassetti(
14).
Per la presenza di alcune pievi il territorio di Cave fu denominato dei Tre Santi e in seguito dei Quattro Santi come testimonia il Presutti(15). È sicura infatti sin dai secoli VII-VIII la presenza di un complesso rurale monastico dedicato ai santi Stefano e Sabino, mentre le due chiese di S. Lorenzo e S. Maria in Plateis risalgono al X secolo. Si tratta di tre differenti complessi monastici non troppo distanti tra loro, ma la denominazione dei Tre santi non deriva, come invece sembrerebbe ovvio, dalla loro presenza. Infatti nel documento del Regesto Sublacense (n. 176), riportato anche dall'Ughelli(16), leggiamo che l'abate Stefano anno secondo, pontificatus Ioannis XV, qui fuit 998, confirmavit ecclesiam S. Mariae, Stephani et Laurentii in territorio praenestino in fundo Quadrangulo abbatis et monachis sublacennsibus. Questo è l'atto di nascita della chiesa di S. Lorenzo che originariamente era dedicata anche a S. Stefano e S. Maria. L'equivoco nasce appunto dalla presenza degli altri due edifici religiosi dedicati ai medesimi santi S. Stefano dell'VIII sec. e S. Maria in Plateis del X sec., e forse proprio per evitare ulteriori confusioni la chiesa attraverso i secoli è sempre stata chiamata semplicemente S. Lorenzo talvolta accompagnato anche dalla specifica dei Tre Santi (17). la successiva denominazione dei Santi Quattro si riferisce esclusivamente al tratto occidentale del territorio di Cave, che si estende da S. Bartolomeo fino ad oltre due chilometri verso sud est (Colle Palme), perché quell'area era gravata da un canone a favore del monastero dei Santi Quattro a Roma sul Celio, proprietà poi alienata alla casa Colonna(18). Riguardo la presunta esistenza di un ulteriore monastero dedicato ai Santi Cosma e Damiano, di cui sembra non resti alcuna traccia, le prove ci sono fornite da due passi del Regesto Sublacense (doc. 185 anno 971 e doc. 186 anni 983). Dal primo risulta che un certo Leone, abate del monastero in questione, unitamente ad alcuni tiburtini rinunciò, presente Amizione, vescovo di Tivoli, in favore di Giorgio, abate sublacense, al fondo Sambuci e Giorgio, viceversa, rinunciava al fondo Luciano in territorio tiburtino(19)(Leoni abbati monasterii sanctorum Cosmae et Damiani qui ponitur in Cave).
Nel secondo documento lo stesso Leone "abbas monasterii sanctorum Christi martyrum Cosmae et Damiani qui situm est in cabe" col pretesto che il principe Alberico, della potente famiglia dei conti tuscolani, gli aveva concesso alcuni castelli dei quali invece era stato ingiustamente spogliato l'abate del Santo Speco di Subiaco, si impadronì dei fondi Arsula, Rovianum, Anticulum, Sambuculum, Iuvencianum...(20). 
A causa dell'intervento di papa Benedetto VIII l'abate fu costretto a restituire al protomonastero di Subiaco i fondi suddetti. Questi territori sono tutti situati nell'alto bacino dell'Aniene e quindi sono molto lontani da Cave. Probabilmente infatti il Regesto Sublacense si riferisce al monastero dei Santi Cosma e Damiano presso Vicovaro, anch'esso benedettino, che viene detto "in Cave" o "in cabe" per la presenza di grotte scavate nella viva roccia per le celle dei monaci e il refettorio(21).



(1) Tomassetti, III, pag. 606
(2) G. Presutti in Atti e men. della soc. tib. di storia e arte XIII,XIV 1933-34, pag. 173. In alcune cave aperte nella prima metà del XIX secolo da Antonio Mattei si scoprirono otto specie di bellissima breccia colorata (Album di Roma 1846, pag. 105). esiste una contrada chiamata Pietra Pertusa in memoria della perforazione della collina che domina la tenuta dei ss. Quattro posseduta prima dal monastero sul Celio a Roma e poi alienata ai Colonna (Tomassetti, III, pag. 606). Nel 1926 esistevano delle cave di marmo grigio con venature rosse e nere (Dizionario U.T.E.T.).
(3) Marianecci, pag. 28.
(4) Marianecci, pag. 4.
(5) G. Mouren in Bull. d'ancienne lit. et arch. cretienne 1911 pag. 241, 243.
(6) Sbardella, pag. 60.
(7) N. Sc. 1897, pag. 259.
(8) E. Fernique, Etude sur Praeneste ville du Latium, Paris 1880, pag. 104.
(9) G. Bossi Un iscrizione del X secolo...in Diss. della pont. Acc. romana di archeologia 1927, pag. 123; A. Borzi Santuari mariani della diocesi di Palestrina 1988,pag. 114.
(10)Cave fu uno dei più castelli del Medioevo nel Lazio ed ebbe origine da enfiteuti della badia sublacense. (Tomassetti III, op. cit. pag. 607).
(11)Dello stesso anno c'è un altro documento nel Regesto Sublacense n. 183 riportato anche in Muratori R.S.I. I.3 pag. 355 e sg in cui si parla di un Castrum Trebana in territorio prenestino comprendente le chiese di S. Maria in Plateis ( dal nome della contrada il Campo), oggi nota come S. maria del Monte, e S. Stefano.
(12)CIL XIV 3384.
(13)D. Andrews La muratura medioevale in Castrum 2 Paris 1984.
(14)G. Tomassetti III, pag. 607.
(15)G. Presutti in Atti e mem. della soc. tiburtina di storia e arte XIII, XIV 1933, pag. 174.
(16)Ughelli Italia sacra I, pag. 195.
(17)G. Presutti idem pag. 178, nota 1.
(18)G. Tomassetti III, pag. 606; G. Bossi in Rend. della pont. Acc. romana di arch. 1927, pag. 125, nota 2.
(19)G. Presutti idem pag. 174.
(20)l'intera lista è riportata nel Chr. Subl. a cura di Morghen Carucci pag. 29, nota 46.
(21)B. Montfaucon Diarium italicum pag. 340 citato da G. Bossi pag.126.

Località: Cannetaccia

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 45'' 41° 48' 58''
Cisterna
A circa 500 metri a SE dalla chiesa di S. Maria del Campo, racchiusa tra due villini, si trovano i resti di una cisterna in conglomerato cementizio privo di cortina.
Il Marianecci, che la vide attorno agli anni '40 la descrive come una piscina quadrangolare di circa m. 20 x 20, con fondo lastricato, sotterraneo, cunicolo e fonte vicina e nei pressi altre antiche muraglie. Qualche tufo squadrato si trova a sud della cisterna, come hanno riferito alcuni abitanti della zona.

Località: La Casetta

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 3'' 41° 48' 56''
Cisterna
Lungo il margine settentrionale di via della Ripa, circa 100 metri prima dell'incrocio con la via della Selcia, all'interno di una proprietà privata sono visibili i resti di una struttura in conglomerato cementizio privo di cortina su cui è stata in seguito costruita una villetta.
Si tratta probabilmente di una cisterna che alimentava la villa i cui resti si trovano dietro il ristorante Papetto.

Località: Colle Speciano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 13'' 41° 48' 55''
Tomba
Nel 1972 lungo la strada provinciale Cave Valmontone al Km. 2 in proprietà Foschi, durante la costruzione delle fondamenta di una casa, fu rinvenuto un sarcofago arcaico.
Si trovava alla profondità di m. 1,50 e oltre allo scheletro conteneva un peso per tessili in terracotta di forma rozza e una punta rugginosa di lancia in ferro conservata nei magazzini del museo di Palestrina.
Il sarcofago era contenuto in un loculo di tufo.

Località: Carpineta

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 20'' 41° 48' 53''
Tombe
Nel fondo di Rotondi Mario(1959) furono trovati resti umani e framenti di un sarcofago di tavelloni di terracotta nei quali gli scheletri erano contenuti. 
Le sepolture non avendo corredo, ma furono rinvenuti alcuni bolli sulle tegole delle casse, i primi due di forma rotonda, gli altri rettangolari(1).
C.LEPIVENUSTI, IULIA CATHAE(2) ,C.L.V.(3) , CETTEIVS FILTATUS, LAE RMMAE(4).


(1) Sopr. arch. per il Lazio, archivio depositi Cave, fasc. 005.
(2) TI. IVLI. AGATHAE (CIL.XV 2331, 1° secolo)
(3) CIL.XV 2363.
(4) CLAUDIAE PRIMAE (CIL. XV 2318, 1° secolo)

Località: Colle Carpineta

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 22'' 41° 48' 50''
Cisterna?
Intorno agli anni quaranta su terreno di Antonio Celletti c'era un fabbricato che si estendeva sopra un'area di circa 40 m.q.; era formato da sei o sette arcate con punta acuta che circondava lo stile gotico anticipato e sorreggevano una volta massiccia dello stesso materiale, una specie di calcestruzzo durissimo. 
Le arcate, alte circa quattro metri e alla base larghe due, formavano un porticato regolare(1). 
Poco distante da questo fabbricato che all'esterno si presentava come ammasso di roccia invulnerabile, si trovano le cosiddette Grotte di Valvarina.


(1) N. Mariannecci, Memorie cavesi, Gavignano 1941.

Località: Vallevina

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 17'' 41° 48' 49''
Ninfeo a terrazze e villa con perimetro non definito
Al confine comunale di Cave, nell'area contrassegnata sulla tavoletta I.G.M. come sorgente e ruderi, si trovano i resti di un notevole complesso di epoca romana degradante dalla sommità del colle fino al fondovalle, cioè al fosso di Colle Palme da cui molto probabilmente vi si accedeva in quanto sono stati ritrovati i basoli di un'antica strada(1).
Si raggiunge attraverso la via che collega la frazione di San Bartolomeo con la contrada Cesiano, dopo circa un chilometro e mezzo a destra lungo la menzionata direzione per percorrere una strada privata che termina in un sentiero che conduce all'interno di un bosco dove si incontrano i primi ruderi. 
Si tratta di una serie di arcate (ambiente A)(2) di cui attualmente se ne contano solo nove, ma probabilmente di numero superiore, e la cui larghezza totale raggiunge circa 37 metri.  La struttura in opera reticolata con ghiera i laterizi era formata da una serie di arcate vuote ormai riempite quasi completamente di terra.
Tale struttura, che si appoggia alle pendici di una collina, costituiva probabilmente un viadotto largo circa m. 1,70 con parapetto sempre in opera reticolata. 
Nel terreno antistante sono stai rinvenuti resti di pavimentazione in opera spicata. 
A poco più di 70 metri ad ovest delle arcate si trova un'area (B) scavata nel tufo la cui facciata, circondata da una ghiera di laterizi, è costituita da un notevole catino la cui ampiezza è di circa m. 3,50 con resti di intonaco.
Nel suo interno si trova un'apertura attraverso cui è possibile intravedere un cunicolo scavato nel tufo che sembra svoltare verso sinistra. 
Probabilmente si tratta di una cisterna che si alimentava attraverso una sorgente(3) e grazie alla sua posizione dominante rispetto al complesso della villa riforniva facilmente la zona sottostante. Ritornando al sentiero precedente e seguendo il suo percorso si raggiunge un tratto di pavimentazione (C) in vista formato da opera spicata ricoperta poi, sempre nei tempi antichi, da mosaico in tessere nere con il lato di un centimetro. 
Purtroppo in sito è rimasto solamente il conglomerato cementizio, ma un pezzo di tale pavimentazione trovata nel bosco testimonia tutto ciò. La parte visibile è piuttosto limitata, ma comunque si intuisce che la pavimentazione proseguiva sotto lo strato del fogliame e terriccio per diverse decine di metri. 
Poco prima di raggiungere il tratto di pavimentazione già descritto, a ovest lungo il sentiero, si vede affiorare un piccolo tratto di muratura (D) (circa m. 1,60), privo di cortina che segue lo stesso andamento della strada, mentre poco oltre la stessa pavimentazione, ma in direzione est, è situato un muretto in blocchetti di tufo (E) che corre lungo un perimetro rettangolare (m. 3,10 x m- 1,90 x m. 2,20). Purtroppo anche in questo caso non è stato possibile calcolare la dimensioni precise in quanto la struttura era in parte crollata e in parte coperta dalla vegetazione e dalla terra. Il sentiero termina di fronte a un prato incolto. 
Svoltando a ovest, all'altezza dei ruderi sopra descritti, s'incontrano una serie di ambienti seminterrati e scavati clandestinamente. 
Anche in questo caso forse si è di fronte a delle costruzioni con facciata in vista che permettevano di alzare il livello del primo piano dell'abitato per adeguarlo a quello della strada. Gli ambienti, tutti voltati, sono in opera reticolata con parti in laterizio come il manto delle volte e la ghiera degli archi. 
La Camera (F) presenta un'apertura sul muro di fondo attraverso cui si possono osservare altri due vani sostruttivi. Accanto si trova un'altra camera, (G), che presenta sulla parete di fondo absidata due strette aperture (circa cm. 60) che tendono ad allargarsi gradatamente formando un imbuto rovesciato. 
La prima conduce ad un stretto corridoio, la seconda non è raggiungibile.  Potrebbe trattarsi di corridoio per il trasporto dell'acqua. 
Le concamerazioni dovevano proseguire come fanno intuire i resti dell'aggancio di due volte alle rispettive estremità formando una sorta di semicerchio. 
A circa m. 20 in direzione ovest si trovano altri resti piuttosto importanti. La loro collocazione è ad un livello superiore ai precedenti. 
Il primo ambiente (H) è costituito da un lungo corridoio coperto a volta su cui sono visibili tracce di intonaco forse bianco. Dallo spessore eccessivo degli strati preparatori dell'intonaco si deduce la presenza di due fasi successive di utilizzo. Il pavimento, di cui non restano tracce, è crollato negli ambienti sostruttivi sottostanti. Accanto si trova una camera (I) molto ampia (circa m. 4,90), coperta a volta, che presenta sul lato destro una scala di cinque gradini piuttosto ripidi e disagevoli. 
Questa scala, che è inoltre ricoperta in signino e presenta spigoli tondeggianti, apparteneva probabilmente ad una fontana, come dimostra la presenza del rivestimento di signino proprio lungo la parete destra dell'ambiente.  La vasca si estendeva lungo tutto il perimetro dell'ambiente e raggiungeva un'altezza di circa un metro.
Accanto a questo ambiente ve ne era un terzo (L) di cui resta visibile solo il muro di fondo interamente formato da laterizi. Anch'esso era ricoperto da una volta.
Accanto si trovava un ulteriore ambiente di cui resta solo l'aggancio della volta ricoperto da un piccolo frustulo di intonaco rosso, mentre al di sotto del vano (I) si intravede un altro ambiente voltato.
Tutta la costruzione si adegua alla morfologia della collina formando una scenografia "teatrale" costituita da una serie di fontane alimentate dall'acqua della sorgente soprastante. Scendendo attraverso la vegetazione giù a valle verso il ruscello in direzione sud, s'incontrano, a due diversi livelli rispettivamente un blocco in opera cementizia quadrangolare piuttosto imponente (M), crollato probabilmente dalla zona superiore e più in basso un ambiente voltato semisepolto (N) a circa due metri al di sopra del ruscello che scorre a valle. Tale ambiente, che presenta sulla volta resti di mosaico, sembra essere stato riempito da cemento mantenendo però nella parte in vista una cortina di mattoni che in seguito è stata in parte danneggiata da scavi clandestini. Tutto ciò comunque non sembra essere stato effettuato per motivi statici in quanto il riempimento interno non raggiunge il livello della volta, ma forse per ragioni puramente estetiche o economiche.
Il ruscello è alimentato dall'acqua proveniente da due cunicoli (O e P) scavati nel tufo, di cui uno (O) è in parte ostruito dalla presenza di un grosso masso scivolato giù dalla strada superiore che presenta resti di opera spicata ricoperta da strato di conglomerato cementizio. I cunicoli in questione raccoglievano sicuramente le acque di scolo del ninfeo sovrastante. Il letto del ruscello è disseminato di frammenti fittili: ceramica acroma comune, un pezzo d'ansa di anfora di tipo Dressel 1, una parete di dolia, patine cinerognole, sigillata africana e pezzi di marmo come serpentino verde, lunense, porfido rosso e marmo africano bigio.
Una certa concentrazione di ceramica acroma è presente nell'area immediatamente a sud sud ovest del ninfeo, segno che forse la parte oggi ricoperta dal bosco potesse essere un tempo occupata dalla parte rustica della villa. Ritornando al ninfeo, a poche decine di metri a nord est del vano (I) ad un livello leggermente superiore, si apre una notevole grotta (S) che sembra essere di origine artificiale come dimostra le presenze di alcuni mattoni sulla volta presso l'ingresso.
Anche in questo caso la presenza di una spelonca, perfettamente inserita nello spettacolare paesaggio che doveva offrire il grande ninfeo, rispondeva perfettamente all'esigenza di modellare la natura per creare un locus amenus, entro cui il dominus, lontano dalla vita politica e sociale si concedeva all'otium.
Sulla sommità del colle sono visibili, malgrado la vegetazione, altri resti di strutture tra cui due ambienti adiacenti con mura in opera reticolata (Q) e ad un livello poco più superiore altre due camere (R) adiacenti sempre con murature in opera reticolata. L'ambiente più a nord presenta un muro formato da tufi squadrati poco più grandi dei comuni laterizi che sostiene una struttura in opera reticolata. Nelle vicinanze di questi ruderi si trova un grosso masso di conglomerato cementizio appartenente ad un pavimento con resti di mosaico formato da grosse tessere nere ricoperto da un sottile strato di cemento, qualche frammento di intonaco rosso e alcuni pezzi di malta su cui sono visibili tracce di opus sectile. Resta comunque incerta l'area in cui sorgeva la vera e propria residenza del dominus.
L'ipotesi più probabile è che si trovasse al di sopra del piccolo pianoro che si innalza di fronte al complesso del ninfeo, proprio tra la parte rustica e il locus amenus.
Purtroppo l'area è occupata da una fitta vegetazione che non permette di raccogliere ulteriori prove.La villa per tipo di murature prevalenti è cronologicamente collocabile verso la fine dell'età repubblicana, ma la presenza di marmi pregiati di importazione come africano, pavonazzetto, giallo antico e portasanta e la ceramica rinvenuta (la maggior parte frammenti di ceramica acroma di età tardo imperiale) prolungano la sua durata almeno fino al V secolo d. C.
Quest'area, conosciuta anche col nome di Grotte di Valvarina, storpiamento di Vallevina come appare sulla cartina I.G.M., viene descritta dal Mariannecci come caratterizzata dalla presenza di grotte inesplorate ripiene d'acqua, "scavate nel tufo e sulla loro entrata si vede tuttora, un lavoro murale di epoca romana con pietre, calce e mattoni intramezzati che serve da sostegno" (come nell'ambiente B). Riferisce inoltre che "in principio c'erano anche vani trasversali tutti intonacati all'intorno e lastricati a mosaico"(4).
L'origine del termine Vallevina è incerto, potrebbe derivare da Valle Divina o più probabilmente da Sballavina,termine dialettale che indica un frana, come suggeriscono le particolari caratteristiche della zona(5).


(1) N. Mariannecci,Memorie cavesi, Gavignano 1941.pag.6
(2) Sopr. arch. per il Lazio, archivio depositi Cave, fasc. 001.
(3) Gli abitanti locali affermano che la sorgente nasce nella collina che domina la villa e che addentrandosi attraverso dei cunicoli che talvolta affiorano in seguito a lavori di sterro si percorrono una serie di gallerie scavate nel tufo diramatesi lungo i diversi piani della collina. Probabilmente servivano a raccogliere e convogliare l'acqua verso le costruzioni sottostanti.
(4) N. Mariannecci,Memorie cavesi, Gavignano 1941.pag.6
(5) Sopr. arch. per il Lazio, archivio depositi Cave, fasc. 001.

Località: Rapello

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 24'' 41° 48' 48''
Chiesa di Santa Maria del Rapello
E' un tempietto, oggi in parte stalla e in parte a magazzino, situato nella parte occidentale del vecchio borgo.
La chiesa, le cui strutture poggiano su uno sperone di tufo è di origine medioevale, formata da un vano principale al piano superiore e due cappelle laterali a quello inferiore di cui si conserva ancora affreschi databili al XV secolo.
Le murature soni state sottoposte ad una serie di restauri attraverso i secoli, come dimostrano le numerose tamponature e i diversi ordini murari.
Solo l'angolo orientale e un piccolo tratto a sinistra del portone principale conservano la cortina originale che trova riscontro anche nelle strutture antiche del borgo.
Tale cortina originale è formata da tufi di grandezza omogenea piuttosto chiari, con andamento regolare, legati con malta databile forse tra l'XI e XII secolo.
La chiesa apparteneva alla compagnia del SS Crocefisso e custodiva un'immagine miracolosa della Madonna del Rapello, della quale, per antica tradizione, se ne celebrava la festa il 10 luglio, giorno di S.Anatolia.

Località: Rapello

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 38'' 41° 48' 56'
Ponte
Alcuni anni fa il G.A.L. fece una ricognizione in quest'area e raccolse materiale ceramico oggi conservato nei magazzini del museo di Palestrina.

Località: Cesiano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 25'' 41° 48' 36''
Cisterna
Cisterna su cui è stata costruita una casa e quindi non visibile dall'esterno.
La Soprintendenza archeologica per il Lazio ne fece un rilievo.(1)
Tale conserva d'acqua faceva sicuramente parte di un grande complesso (Villa: località Cesiano). 

Cisterna, rilievo

Località: Cesiano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 21'' 41° 48' 34''
Villa
Ad ovest, della strada di Vallevina si trova una struttura in conglomerato cementizio priva di cortina lunga circa 17 metri.
A circa 100 metri ad est di questo rudere sorge un notevole complesso edilizio che conserva ancora buona parte delle murature in opera mista.
Secondo il G.A.L. tracce di queste murature sono ancora visibili per un buon tratto proseguendo in direzione est.
Purtroppo l'area, essendo incolta non ha permesso alcuna raccolta di ceramica, ma del tipo di muratura il complesso sarebbe databile intorno all'età adrianea,con restauri di epoca più tarda, e costituirebbe una parte dell'area urbana della villa.

Località: Colle Speciano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 26'' 41° 48' 35''
Villa con perimetro non definito
Villa le cui strutture sono visibili solo attraverso la foto area, dove si distingue chiaramente un cortile rettangolare su cui si affacciano una serie di ambienti.
Recentemente, purtroppo, su una di queste ali è stata edificata una villetta.
L'area in questione inoltre durante i sopralluoghi da terra non presenta tracce di antichità essendo in parte coperta da erba piuttosto alta.

Località: Fontana dei Pischeri

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 28' 03'' 41° 48' 03''
Area di frammenti fittili
Alcuni anni fa il G.A.L. fece una ricognizione in quest'area e raccolse materiale ceramico oggi conservato nei magazzini del museo di Palestrina.

Località: Colle Cerreto

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 45'' 41° 47' 48''
Villa con perimetro non definito
Sulla sommità del colle, nella zona occidentale, affiora qualche tufo squadrato, frammenti di tegole, mattoni e ceramica romana acroma.

Località: Colle Cesiano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 45'' 41° 47' 47''
Vasca
Sulla collina a nord della località gli Archi, all'interno di una proprietà privata, si trovano i resti di una vasca rettangolare (m.13,10 x 3,60) con orientamento nord sud e con evidenti tracce di impermeabilizzazione.
Come ricordano gli abitanti della zona, fino a poco tempo fa conservava ancora tessere di mosaico azzurre, oggi ormai scomparse.
Nei pressi si registra una scarsa presenza di ceramica romana acroma, ma a circa 50 metri in direzione ovest sono stati rinvenuti resti di murature costituite da grossi tufi squadrati su cui poggiavano riorsi di laterizi ormai pericolanti.
Sempre in quest'area, in luogo non meglio precisato durante lavori agricoli furono rinvenuti alcuni sarcofagi formati da una pietra calcarea piuttosto chiara e subito ricoperti.
Probabilmente tali strutture facevano parte di una grande villa.

Località: Gli Archi

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 37'' 41° 47' 41''
Acquedotto
Sul confine tra Cave Valmontone si trova una località denominata Gli Archi, toponimo che deriva appunto dalla presenza di un antico acquedotto.
L'acquedotto è formato a tre arcate: quelle laterali hanno una luce di m. 4,20, mentre quella centrale di m. 4,60; la lunghezza totale è di m. 52,20.
L'antico monumento è quasi completamente nascosto dalla vegetazione, tanto che risulta difficile capire che tipo di cortina muraria abbia, sembrerebbe opera incerta costituita da malta di ottima qualità e pietre informi di grandezza abbastanza omogenea, la parte centrale è inoltre consolidata dalla presenza di due contrafforti costituiti da tufi e malta.
Il punto di captazione potrebbe essere rappresentato dalla vicina sorgente alle pendici di colle Cesiano. Infatti a circa 20 metri a sud, proprio lungo la direzione della sorgente, si trova una struttura seminterrata, di forma parallelepipedo, in conglomerato cementizio, impermeabilizzata, all'interno della quale sono visibili delle tubature moderne e che potrebbe costituire una vasca di decantazione.
L'acquedotto che prosegue attraversando il colle sovrastante volge in direzione di Labico e probabilmente passava dalla località Acqua di Maggio.

Località: Contrada Cesiano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 57'' 41° 47' 40''
Cisterna e Villa?

Su un rialzo detto colle del Toro, nella proprietà appartenuta un tempo a Felice Cecconi, come riferisce il Mariannecci, c'era un'insieme di arcate in opera reticolata su cui era stata costruita una casetta colonica.
La struttura, di forma quadrangolare misura 13 metri di lunghezza e 12,30 di larghezza ed è suddivisa in tre ambienti voltati.
Le pareti presentano ancora evidenti tracce di impermeabilizzazione.
Il Mariannecci vide, attiguo alla casa colonica, un tratto di pavimentazione musiva in bianco e nero e ricorda il rinvenimento di alcune antiche monete in una delle quali poteva leggersi a stento: C.C.CEHSAR e in un'altra ARGIVS.ROM.
Vide inoltre un mosaico a mattonelle bianche colorate di nero(1).

Il toponimo Cesiano potrebbe essere derivato dal prediale Cesoniano corrotto in Cesoiano e infine in Cesiano o Cejano.
Alcune epigrafi trovate nella tenuta di Corcolle, antico oppidum di Palestrina, attestano la presenza della famiglia Cesonia(2).
Inoltre, la presenza di un fondo chiamato Cejano in questo territorio nella prima metà del IV secolo viene confermata anche dalla donazione alla chiesa di S. Martino ai Monti riportata da Anualdo Bibliotecario(3).



(1) N. Mariannecci, Memorie cavesi, Gavignano 1941, pag. 8.
(2) Erano tre epigrafi sepolcrali una di Caio Cesonio, prefetto di Roma una del figlio e una della moglie.
(3) Anualdo Bibliotecario in Vitis romanorum Pontificiorum, vita Silvestri: Huic (alla chiesa) magnus Costantinus Augustus pro singulari pietate ac studio in Deum optimum maximum ... dono dedit dotisque loco attribiunt, fundim Cejanum in territorio praenestino praestantem solidos 50...Corradini, Latium Vet., pag. 29.

Località: Gli Archi

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 45'' 41° 47' 38''
Villa con perimetro non definito
Nell'area ad est del fosso degli Archi si trovano numerosi frammenti di ceramica tra cui vernice nera, ceramica acroma romana di età repubblicana e imperiale, un'ansa d'anfora (Dressel 2/5?), frammenti di sigillata aretina con il marchio ATEIA (attivo nella media e tarda età augustea), un frammento di sigillata africana (Hayes 91), ceramica da fuoco e qualche frammento di invetriata sparsa alto medioevale. Inoltre l'ex Gruppo Archeologico Latino rinvenne un asse. Nell'area sono stati trovati anche consistenti pezzi di mosaico bianco e nero formato da tessere di circa un centimetro di lato.
Probabilmente la villa sorgeva sul colle che domina il fosso degli Archi come dimostra la disposizione dei frammenti fittili.
Si tratta di materiale che comprende un vasto periodo cronologico che inizia dall'età repubblicana (III/II secolo a.C..) e si prolunga durante l'età imperiale fino all'alto Medioevo che purtroppo ha lasciato esigue tracce..

Località: Collerano

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 32'' 41° 47' 33''
Tombe
Una decina di anni fa in seguito a lavori agricoli furono rinvenuti i resti di un sarcofago di tufo.
L'accaduto venne segnalato al G.A.L., ma questi resti oggi non esiste traccia.

Località: Colle Tesoro

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 57'' 41° 47' 25''
Resti incerti
Nella vallata tra colle Tresoro e colle Tocciano sorge un antico casale oggi in via di ristrutturazione nei pressi del quale alcuni ani fa era visibile un muro in opera reticolata addossato ad un pendio.

Località: Pozzarigo

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 08'' 41° 47' 19''
Resti incerti
Il Marianecci ricorda che in un fondo appartenente alla propria famiglia situato in località Pozzarico fino ai primi del 1900 erano visibili i ruderi di più casolari uniti insieme tanto dare l'idea di un vero vicus "con masi di pietra lavorata e iscrizioni romane (CELSA DEI), rocchi e muraglie".
Ricorda inoltre che altre testimonianze analoghe erano visibili nelle località limitrofe: 
Colle La Cipolletta, Colle Cruci e La Cannuzza.
Malgrado la descrizione fornitaci da Marianecci sia piuttosto povera di particolari, si potrebbe ipotizzare la presenza in questa area di un villaggio medioevale forse edificato su resti antecedenti.

Località: Colle Tesoro

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 27' 45'' 41° 47' 17''
Area di frammenti fittili
Lungo le pendici nord orientali di Colle Tesoro il Gruppo Archeologico Latino rinvenne resti di ceramica ad impasto cronologicamente collocabile durante l'età del Bronzo.
I frammenti sono conservati nei magazzini del museo prenestino.

Località: Colle Tesoro

Comune di Cave: I.G.M. 150 II NE - Provincia di Roma: 0° 29' 54'' 41° 47' 16''
Villa con perimetro non definito
Lungo i margini sud occidentali del colle e il fosso di Collerano, sono riconoscibili tra i rovi una serie di muretti in conglomerato cementizio con una direzione pari a 25° nord: il primo è lungo circa 11 metri, il successivo, con andamento parallelo al precedente e distante circa metri 1,50, dopo circa un metro si interra. Intorno si trovano numerosi frammenti di tegole, mattoni e ceramica tra cui: vernice nera (Morel 2534), orli anneriti, sigillata africana A, frammenti di sigillata italica, un pezzo di anfora vinaria italica Dressel 2/5 e ceramica romana acroma.
Il sito, in base ai dati raccolti è databile dalla seconda metà del III secolo a.C. almeno fino al IV secolo. Ai piedi di Colle Tesoro c'è una area interessata dalla presenza di muretti in conglomerato cementizio e frammenti ceramici come vernice nera, di tipo B, sigillata italica, ceramica acroma.
C'era inoltre qualche tessera di mosaico bianca di mezzo centimetro di lato e frammenti di vetro. È probabile che la villa sorgesse sulla sommità o almeno a mezza costa rispetto al colle e si estendesse verso ovest fino a raggiungere con queste ultime strutture il fosso chiamato Rio per sfruttarne le acque.
La parte che ci si è riusciti a setacciare era probabilmente quella rustica, ma la pendenza ha favorito lo scivolamento ad frammenti pertinenti alla area urbana (vetro, tessere).